L’Alitalia fallita e i biglietti già comprati

26 Aprile 2017 di Indiscreto

L’Alitalia è già tecnicamente fallita e il no, dopo il referendum interno, all’accordo fra azienda e sindacati (in sintesi: 2 miliardi di ricapitalizzazione in cambio di 1300 licenziamenti, su 12.000 circa dipendenti, e di un taglio strutturale degli stipendi di quasi il 10%) probabilmente accelererà la sua morte anche dal punto di vista legale. Il ragionamento dei dipendenti Alitalia che hanno votato no è intuibile: per motivi di immagine ed elettorali nessun governo lascerà mai fallire Alitalia, nemmeno l’Alitalia attuale che è al 100% di privati.

Più volte l’ipotesi della nazionalizzazione è stata però esclusa, sia sia dal ministro del lavoro Poletti sia da quello dello sviluppo economico Calenda. Non solo per i circa 7,5 miliardi (stima di fonte Mediobanca per il periodo 2007-2014, simile a quella sugli aiuti di Stato totali erogati al gruppo FIAT ma in mezzo secolo) buttati dall’Italia per il salvataggio di un’azienda che perde quasi 2 milioni al giorno in un contesto di mercato in cui la redditività delle compagnie aeree è mediamente aumentata, ma perché per la vituperata (anche da noi) Europa impedisce aiuti di Stato in presenza di un simile assetto societario. Per fortuna, aggiungiamo noi; salvare la vita delle persone con un sussidio è meglio che tenere in vita un’azienda fallita e senza più prospettive di fronte a concorrenti molto più grandi o molto più agili.

Ma veniamo alla vera domanda che ci attanaglia: chi ha già prenotato il volo con Alitalia per le vacanze perderà tutto quanto già pagato? Domanda che ovviamente non riguarda l’Uomo Indiscreto, che ha la stessa filosofia di Naomi Campbell (“I don’t fly commercial”), ma tutti gli altri. La risposta non può essere in questo momento certa, ma verosimile sì: visto che prima del fallimento si dovrebbe passare dal commissariamento (il consiglio di amministrazione lo ha già chiesto) e dall’amministrazione controllata, è probabile che alla fine del 2017 in qualche modo si arrivi, grazie a un prestito ovviamente con soldi nostri che l’UE fingerà di valutare per poi autorizzarlo. Poi forse lo smembramento, con il solito schema della bad company e gli asset buoni magari svenduti all’estero, perché siamo tutti patrioti ma a corrente alternata e di qualcosa Unicredit e Intesa dovranno pur rientrare. Quindi il nostro biglietto estivo è salvo, ma lo pagheremo carissimo.

Il ‘No’ del 67% dei dipendenti, che molti hanno interpretato come autolesionismo antistorico, è secondo noi del bar una cinica scommessa del genere ‘too big to fail’, anche perché calcolando indotto e famiglie dei dipendenti il fallimento dell’Alitalia (per cui tifiamo apertamente) riguarderebbe almeno 30.000 persone e quasi tutte residenti a Roma e dintorni. Da qui anche il tifo dei Cinque Stelle per la nazionalizzazione. Ma salvare le persone è una cosa, salvare il carrozzone un’altra.

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