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L’affare Saint-Fiacre, il Maigret peggiore

Stefano Olivari 22/09/2014

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È impossibile dire quale sia il migliore fra i 75 romanzi di Simenon con Maigret protagonista (senza contare i racconti e i molti embrioni di Maigret presenti in altri lavori), ma da maigrettiani non abbiamo dubbi sul peggiore, almeno in proporzione alle possibilità. È L’affare Saint-Fiacre, nelle maggior parte delle edizioni considerato il tredicesimo con Maigret protagonista (in realtà molti, soprattutto i primi, sono stati scritti quasi in contemporanea e a pezzi, generando poi una filologia degna di miglior causa), dove Simenon mette a contatto la sua creatura letteraria con il passato: si reca infatti a Saint-Fiacre, paese semi-immaginario (nel senso che esiste, ma non nella zona della Francia dove lo colloca l’autore), perché una lettera anonima lo ha informato di un imminente omicidio. Evento che si materializza, praticamente sotto gli occhi di Maigret, in chiesa, con vittima la vecchia contessa di Saint-Fiacre. Il paese dove Maigret è nato, si viene a scoprire, con il padre del futuro commissario che si occupava di gestire le proprietà dei conti e il piccolo Jules cresciuto proprio al castello, adesso un po’ in disarmo e con i creditori alle porte. Insomma, tutte le premesse per entrare dentro Maigret, all’origine di questo suo equilibrio sopra la follia (cit.), tralasciando una volta tanto i suoi temi forti: il racconto della mediocrità ad ogni livello sociale, le ambizioni frustrate, l’egoismo umano, la disperazione di vite in cui tutti sembrano recitare una parte. La trovata è che il delitto è un mezzo delitto: la contessa è morta per un infarto procuratole da una notizia falsa sul conto del figlio, datale ad arte. Ma Simenon, fuoriclasse della descrizione scarna e della comprensione istantanea dell’animo umano, non è portato per seghe mentali introspettive e ci prova senza convinzione. La trama scorre quindi via stanca, senza lasciare il segno e senza appassionare (non spoileriamo), mentre Maigret rimane un mistero. Meglio il film, una volta tanto, con un grande Jean Gabin.

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