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La vittoria di Spartacus
Stefano Olivari 19/07/2013
Spartacus alla fine muore, come capita anche ai babypensionati (quelli che manterremo ancora per un po’, prima di schiattare davanti al computer a 64 anni e 364 giorni) e a chi non ha alcun interesse nella vita. Chiunque abbia frequentato la scuola dell’obbligo già lo sapeva, ma nel telefilm speravamo andasse diversamente: come Nanni Moretti, mentre in Palombella Rossa implora il dottor Zivago-Omar Sharif di girarsi. Invece Spartacus muore anche nella fiction, la cui terza (escludendo il prequel) serie è appena terminata per l’Italia su Sky. Meno trash dei primi capitoli, non fosse altro che per le scene in esterno girate davvero in esterno, La guerra dei dannati ha comunque avuto momenti di culto irraggiungibili sia per Kubrick che per il nostro Riccardo Freda, autori dei due più famosi film sull’eroe trace. Giulio Cesare infiltrato nelle fila dei ribelli è fantastico, un Giulio Cesare scopicchiante e astuto come quello vero ma con tratti somatici da Brad Pitt. Crasso in mezzo alla battaglia, lui così ricco e calcolatore, davvero non ce lo vediamo, così come lo stesso Spartacus che studia le cartine e i movimenti delle truppe come nemmeno Napoleone ad Austerlitz. In questa serie finale c’è stato decisamente meno sesso, anche nella extended version, e al là della caratterizzazione dei personaggi la precisione storica è stata decente. Almeno da Quark o da Wikipedia. Dal tradimento dei pirati cilici alla tattica temporeggiatrice di Crasso, fino all’intervento di Pompeo che stroncò la fuga verso Nord del grosso degli schiavi liberati. Impossibile ricostruire la battaglia: gli storici romani, cioè gli storici dei vincitori, scrivono di 50 ribelli morti per ogni legionario, ma è difficile credere ad una proporzione simile in una situazione di corpo a corpo in cui il tamarro di strada diventa competitivo con i Navy Seals. Alla fine però Roma ha vinto, come diceva (o dice ancora?) lo speaker dell’Olimpico. La certezza è che Spartacus fu ucciso in battaglia e che il suo cadavere non fu ritrovato: non siamo in zona Jim Morrison, ma in quella di un corpo dilaniato e irriconoscibile. Altra certezza la crocifissione dei prigionieri decisa da Crasso, fra questi anche il gallo Gannicus e cioè uno dei compagni di Spartacus della prima ora. Qui gli sceneggiatori sono molto precisi, perché citano Crisso (cioè Crixius, altro gallo) e, sia pure facendolo morire molto prima del tempo e cambiandogli colore della pelle, Enomao. Tutti uomini scappati dalla scuola per gladiatori di Capua. Non è però la fedeltà storica il primio criterio per giudicare una fiction, ma le emozioni che trasmette. E Spartacus, con i suoi cambi di attore protagonista (dopo la morte, purtroppo reale, Andy Whitfield è stato sostituito da Liam McIntyre) e le sue esagerazioni, ha reso perfettamente il fascino della libertà. Superiore a qualsiasi altro valore, anche quando al massimo è libertà di morire da liberi. Per questo l’ultima puntata è stata genialmente intitolata La vittoria.