In Evidenza
La valanga azzurra
Indiscreto 09/01/2025
Perché guardare La valanga azzurra? Il film-documentario di Giovanni Veronesi, disponibile su RaiPlay, ha applicato alla nazionale italiana di sci degli anni Settanta lo stesso schema di Una squadra con la Coppa Davis 1976, fra l’altro coautore e coproduttore è Domenico Procacci che aveva messo in piedi l’operazione sul tennis. In pratica interviste ai protagonisti dell’epoca fatte oggi, con tutti i rancori e le libertà concessi dall’età avanzata. Interviste fatte da un appassionato di sci, quale Veronesi è, che però non fa parte della parrocchietta e quindi può porsi nei confronti di miti come Thöni e Gros anche in maniera critica. Il risultato finale è stato superiore a quello tennistico, perché se la cifra stilistica di Pietrangeli e Panatta è il cazzeggio, anche quando si insultano, per lo sci funziona ma soprattutto funzionava diversamente. Tutto più duro, legato a un centesimo di secondo che può valere una vita e a un ambiente che sa tenere i segreti.
Poi non è certo colpa dello sci se nel 1978 la fidanzata sparò in faccia a Paolo De Chiesa, che come slalomista sarebbe stato secondo solo a Stenmark (anche lui intervistato, molto rilassato anche ricordando i regolamenti inventati contro di lui), rubandogli tre anni di vita e di fatto tutta la carriera: non è uno spoiler, perché di questa rivelazione hanno parlato tanti giornali, ma è senz’altro uno dei momenti di maggiore pathos del film. Con tutta la malinconia di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, una storia tipo Il migliore, e la lucidità di De Chiesa (parentesi extrafilm: l’unico a parlare della scandalosa mancata inchiesta sulla morte di Matilde Lorenzi) nell’accettare un evento drammatico, prendendone addirittura il buono e cioè la scoperta della sua capacità di reagire alle avversità. Parole durissime che mettono in altra luce le mille analisi su De Chiesa eterno piazzato, una volta tornato alle gare, come se nello sci potessero vincere tutti.
L’altra vicenda pazzesca, questa già nota ai tempi, di cui si è parlato nel film è la radiazione di Stefano Anzi e Giuliano Besson, proprio i fondatori di AnziBesson, sindacalisti della squadra al momento del dunque lasciati soli dai compagni più famosi e dal direttore tecnico Mario Cotelli, che dal film esce abbastanza male: bravissimo manager, organizzatore e politico, ma come allenatore meno importante di Oreste Peccedi, a Bormio un vero mito (è scomparso qualche mese fa), disegnatore della Stelvio, la cui partenza nel 1976 dopo le Olimpiadi di Innsbruck segnò la vera fine della Valanga azzurra, al di là del declino di Thöni e Gros e dei fatti drammatici che limitarono la carriera di De Chiesa e tolsero la vita a Leonardo David, senza stare a ricordare l’incredibile sequenza di incidenti soltanto sciistici di tante giovani promesse, fra le quali il Bruno Gattai futuro telecronista e avvocato. Fra le parti leggere del film, collegate anche dagli interventi di Lorenzo Fabiano, senz’altro l’intervista (e le facce) di Thöni, il racconto delle combine (era in corsa per il titolo anche Klammer) per arrivare alla finale con Stenmark nel parallelo della Val Gardena che decise la Coppa del Mondo 1975, le parole di Tomba in tombese, ma su tutto aleggiano dei non detti e una drammaticità che colpiscono.
Come tutti sanno, l’espressione Valanga Azzurra nasce nel 1974 sulla Gazzetta, idea di Massimo Di Marco, dopo il gigante di Berchtesgaden: cinque italiani (Gros, Thöni, Stricker, Schmalzl, Pietrogiovanna) nei primi cinque posti. Ma forse non tutti ricordano che quella squadra era nata non con Cotelli, ma con Vuarnet, sempre con Peccedi vero allenatore. Fu il francese a pretendere che ‘tedeschi’ e ‘italiani’, separati anche a tavola, facessero squadra e mettessero fine a una divisione ben più pesante di quella dei tempi di Tomba, fra montanari e cittadini. Tema soltanto sfiorato da questo film davvero interessante anche per chi non era bambino all’epoca. Secondo noi il migliore di Veronesi, professionista di un tipo di commedia che non ci arriva (il peggiore Moschettieri del Re, con Favino-Rubini-Mastandrea-Papaleo) ma che con La valanga azzurra ha toccato corde profonde, senza celebrazioni o nostalgia. È un documentario, certo, ma la sciata finale di Thöni, Gros e De Chiesa è commovente grande cinema, in zona Un mercoledì da leoni.
stefano@indiscreto.net