La tintura di Ivkovic

14 Maggio 2012 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla porta delle felicità del Topkapi, fra il corno d’oro e il mar di Marmara, nello splendore della Istanbul dove devi camminare vestito come Peter Ustinov, il grande Simon Simpson da Oscar, eh cercate di capire, del film di Jules Dassin che faceva ridere Melina Mercouri come i tifosi dell’Olympiakos nell’arena dove Dusan Duda Ivkovic ha violato la porta del serraglio chiusa malissimo dal solito lituano da finale  perduta.

Il mago Lorenzo che smania per la festa di Willy del primo giugno manda un messaggio per il Planetarca dal vocione, con la testa fina, uno che ha vinto davvero tanto, uno che rappresenta al meglio la più bella delle scuole di basket al di fuori degli Stati Uniti, l’ultimo re nella reggia dei plavi insieme ad Obradovic e Tanjevic, aspettando che crescano in questa povertà anche altri e se volete rischiare con i giovani, se volete fare nozze con fichi secchi, se credete nel lavoro, nella saggezza socratica, nella maieutica dal gigantismo che affligge allora puntate su di loro come spiegherebbero a Treviso dopo aver visto al lavoro il Sasha Djordjevic che da quella scuola proviene, che nella Marca ha trovato la maturità che gli mancava a Milano dove hanno avuto pazienza anche con chi non la meritava o la merita, ma con lui sono stati molto decisi invitandolo fuori dall’atelier.

Caro Dusan e le perfidie di un mago di Oz che assomiglia al Morley di Topkapi, film su una rapina di una pietra preziosa che semprava impossibile, nel momento in cui ha affidato ai più giovani quello che gli americani, o troppo piccoli, o troppo boriosi, non potevano dare, quello che lo stesso Spanoulis  non riusciva a regalare perché su di lui c’era la guardia rossa, tutti gigantoni che dicevano “ ti spiezzo”. Capolavoro in rimonta, ma, lo sapete, lo sappiamo dalle Olimpiadi di Atene, quando ci sono in mezzo i lituani e Kazlauskas lo è di scuola, mentalità, anche se ha fatto meglio di altri maghi spreconi, allora può capitare che una squadra avanti 19 punti si faccia rimontare dalla sfacciataggine di ragazzi cresciuti in povertà economica, ma non tecnica. Ecco il messaggio  per chi si dispera se  tutti chiudono il borsello per fingere di aver senso dello stato, dell’economia, gente che mette i soldi sotto il materasso, non li fa girare, si gode troppe case, troppe ricchezze superflue e  preferisce  il quartiere di lusso blindato come in Brasile, come nei paesi farlocchi, piuttosto che ridistribuire ricchezza.

L’Olympiakos era poca cosa, aveva ridotto tutto, si era tenuta il vecchio maestro, leone saggio che le spine dal piede se le toglie con la stessa rabbia usata per la tintura che dona ai capelli  quel rossiccio giovanile strano, davvero strano per uno nato  nel 1943, 29 ottobre, scorpione come il comandante Dreyfuss, uno che sa benissimo che in quel giorno ci fu una Caporetto, era il 1917 e la Caporetto era italiana, che in quella data ci fu il famoso martedì nerò alla borsa di New York, nero come la domenica del Kirilenko che non meritava di avere compagni così deboli mentalmente, che doveva uscire in trionfo per essersi sacrificato e per aver esagerato negli elogi dicendo che le 4 eurofinaliste avrebbero potuto giocare anche i playoff NBA. Esagerato, ma Dan Peterson gli è andato dietro, perché il nano ghiacciato, da un po’ di tempo, segue l’onda e si diverte a far credere in giro che lui è diventato davvero buono, che lui è molto diverso dagli americani aridi, quasi vero, è molto più curioso di tutti questi fringuelli che mangiano sulle panchine italiane, verissimo, un uomo del suo tempo, un conservatore che si finge democratico, uno che saprebbe sempre convincerti di aver agito a fin di bene come quando diede un gettone telefonico alla ganza che doveva liberare il suo letto da pollicino sfinito.

Bella Europa che riempi palazzi anche senza le squadre del posto, cosa mai capita dagli italiani che, per la verità, capiscono poco anche di questa stagione balorda dei loro padronicini nello sport, accettando ogni tipo di richiesta, da un paese che rinunciò alle Final Four, ora assegnate per due anni a Londra, perché a Torino erano arrivati al potere quelli che hanno perso tutto, anche la faccia, ma sperano sempre di dare la colpa agli altri. Fine del letargo italiano vivendo da invidiosi queste finali di Istanbul , con il ghigno bieco di chi usa il viagra  e la pompetta, con la voglia di chiedere in giro: ma questi greci  non erano in crisi, allo sfascio? Sono in crisi, sono allo sfascio che sfascerà, ma per andare ad Istanbul basta un po’ di pane e qualche oliva, poi ci pensano i turchi al mercato delle erbe a farti vedere il pepe rosa, basta credere in qualcosa e che si fottano i gabellieri ovunque li abbiano autorizzati a perseguitare soltanto i deboli della terra.

Share this article