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Atletica

La strada della Pilato

Oscar Eleni 29/07/2019

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Oscar Eleni monaco esiliato dall’artrosi alla ricerca dei cistercensi che nel 1132 costruirono l’abbazia di Fountains nel North Yorkshire. Ricerca della pace, del silenzio dopo essersi svegliati col cinguettio di giovani talenti, fortunatamente non spietati come i troppi che trovano spazio nella cronaca nera dove gli emuli delle porcate sono molti di più dei ragazzi e ragazze d’oro che ci rappresentano nel mondo, perché in  famiglia si accorgono sempre dopo di non avere allevato soltanto brave persone.

Noi ci teniamo stretti la pugliese Benedetta Pilato, argento mondiale nei 50 rana a 14 anni e 194 giorni, una del 2005, rivendicando più spazio del mercatone calcistico per il piemontese Stefano Sottile, 21 anni, diventato campione italiano di salto in alto superando 2.33, record under 23 tolto a Tamberi, minimo olimpico, miglior risultato mondiale dell’anno. Ci stanno bene nella fotografia con il ventiduenne Egan Bernal, colombiano di Zipaquirà, dove visse e studiò il Nobel Gabriel Garcia Marquez, vincitore del Tour della crudeltà dove in tanti tifavano per il coraggio di Alaphilippe.

Tre giovani che hanno bevuto l’acqua spesso non buonissima di queste fonti perché Bernal è stato tenuto a balia nel Canavese, perché la Pilato va forte anche se per allenarsi nella sua terra pugliese deve fare più chilometri su strada di quelli che servirebbero in piscina, perché Stefano Sottile non ha mai ceduto davanti agli infortuni e a chi pensava che Valeria Musso non potesse portarlo davvero in alto. Siamo felici  e storditi. Sarà davvero il solito stellone che ha illuminato gli assoluti a Bressanone dove Carlo Giordani, ex ostacolista, dirigente federale, l’anima della Quercia Rovereto, ha ricevuto il distintivo d’oro della federazione europea?

Può essere. Di sicuro gente come Giordani fa cose che  aiutano a far apparire evoluto un paese che regala venti, trenta pagine al giorno al mercato del calcio e persino al fantapallone. La Pilato è una meraviglia come lo furono Vanessa Ferrari, la Calligaris, naturalmente le Kostner, sci e ghiaccio, ricordando a fine del suo ultimo Mondiale i prodigi di Federica Pellegrini. Le abbiamo meritate?   Se le meritano quelli che ora fanno i pavoni dietro a questi risultati? Misteri non gloriosi che fanno diventare una cascina l’albergo del lusso sportivo.

Viaggi nel tempo che nascondono tutto il resto: Bressanone ci stava dicendo che l’atletica italiana faceva di nuovo squadra squadra, famiglia, trovando giovani di nuova generazione che danno speranza, ma non tutti credevano che quelle lucciole fossero davvero lanterne nel deserto dei tartari, fino al salto di Sottile, ai lanci di un giovane martellista sulla scia del veterano Lingua, all’oro nel giavellotto della Visca che aveva appena vinto l’europeo under 20, aspettando con ansia che Tortu si trovi sulla strada di Jacobs. Farà bene a tutti e due così non ci saranno veri missionari dell’atletica costretti a guardare il softball che  pure ha conquistato un posto olimpico dopo la pallanuoto.

 Al mondiale di nuoto coreano certo tutto era diverso, un risultato di squadra da urlo, programmazione,  tecnica, un cloro a parte, tante medaglie, primati, finalisti, eravamo alle stelle e poi questa Pilato che ha fatto diventare Paltrinieri, un oro, un argento, un bronzo nel suo regno dei 1500, attore non protagonista nell’ultima giornata su quella scena che era tutta della Pellegrini. Il nuoto separato in casa CONI? Può essere, ma allora si separino pure gli altri se poi nella spedizione olimpica porteranno alla casa madre campioni con piedi  e cuore d’acciaio e non piedi d’argilla. Come diceva Gandhi, se si potessero togliere l’Io e il Mio da tutti i discorsi forse potremmo rivedere le stelle e portare il cielo in terra.

Speriamo lo abbiano capito i nuovi padroncini del basket che per un colpo di fortuna si sono visti regalare da Simone Raso e Alessandro Mamoli un documentario meraviglioso sulla vittoria europea dell’Italia a Parigi nel 1999. Con Tony Cappellari, altro emarginato nell’abbazia cistercense, ce lo siamo visto e gustato più di una volta questo lavoro che dovrebbe finire nella borsa di ogni dirigente e di ogni giocatore. Cosa dice il lavoro già lodato da molti altri? Che si arriva a fare squadra dopo aver dimenticato davvero l’Io e il Mio. Certo serve fortuna, come diceva Sacchi a cui non mancavano occhio e pazienza, ma anche fiducia negli uomini a cui affidi una squadra, a cui ti affidi sul campo.

Hanno trovato l’oro dopo aver masticato carbone ad Antibes, confusi e avviliti a Le Mans dopo la batosta contro la Lituania poi tradita da Bacco, sì, lo ripetiamo perché in quel documentario ci hanno lasciato soltanto questa battuta mentre noi vanitosi eravamo convinti  di aver dato perle di saggezza nella mezz’ora registrata a casa del vecchio trombone zoppicante. Due tappe in salita più difficili di quelle che hanno tolto la maglia  ad Alaphilippe. Serviva un condottiero saggio, lo stesso che oggi fa dire al Pozzecco lasciato a casa, che Boscia, lo stesso che lui irrideva e odiava,  aveva agito nel giusto, per quello che lui considerava il giusto. Nascita di una squadra, dall’assegnazione delle camere. Nascita di un gruppo dagli spintoni in spogliatoio dopo la Croazia mentre Kukoc diceva a Myers “Un giocatore solo non vince partite”. Carlton  e il suo ego cambiati da quella esperienza, peccato che poi non se lo siano ricordato lui e  gli altri a Sydney nell’Olimpiade sprecata dove chi era stato costretto a tacere, a stare alla larga, si era rifatto vivo, nel gruppo, intorno al gruppo.

Siamo contenti che SKY abbia trovato spazio per il documentario che Mamoli e Raso avrebbero comunque fatto a loro spese, perché soltanto se paghi di persona dopo puoi guardare tutti negli occhi.Siamo felici di avere qualcosa da rivedere tante volte, sfumature su cui ragionare. Fatelo vedere in Lega dove molti dirigenti non sanno davvero cosa sia la vita del gruppo, negli spogliatoi. Sì anche in quelli delle tre signorie che ora animano il mercato, squadre dove chi recita a soggetto, fingendo di essere legato alla maglia, dove, chi si crede indispensabile, dovrà forse farlo altrove.

Milano ha cambiato faccia. Gioca chi difende, chi sputa sangue. Ci riusciranno i vecchi del sistema Pianigiani e i nuovi della fortezza Messina? Parliamone dopo il Mondiale cinese ammettendo che se non ci sarà Mike James pochi lo rimpiangeranno anche se trovasse posto in Eurolega e facesse 40 punti contro l’Olimpia.

Venezia difenderà il suo titolo dopo aver difeso i giocatori che le hanno dato lo scudetto e l’allenatore che ha trovato un presidente  capace di sostenere da solo le mura del Taliercio anche quando fuori urlavano e tiravano pietre.

Anche la Virtus Bologna ha cambiato tanto, scegliendo la strada Djordjevic,  curandola meglio di come fece col povero Sacripanti che certi giocatorini doveva tenerseli, facendo finta che fossero il massimo. Loro ci credevano, anche perché quando non era così davano la colpa al povero Pino. Bella squadra con la perla Teodosic. Serve la prova del campo, come per Azzurra perché anche adesso c’è chi teme di non vederla davvero al completo quando partirà per la Cina, sapendo che le Filippine non ci temono, che Angola salta abbastanza per spaventarci e la Serbia è sempre la squadra che va in campo per dare fastidio persino agli Stati Uniti o alla Spagna che potremmo trovare nella seconda fase. Ci servono leoni, gente vera. Ci serve una squadra. Alla sera prima di dormire guardatevi Italia 1999.

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