La storia di Roberto Calvi, un mistero per sempre

14 Febbraio 2017 di Indiscreto

Sulla vita e sulla morte di Roberto Calvi è stato detto di tutto, per questo un libro scritto praticamente mentre gli eventi avvenivano ha tutto un altro sapore rispetto all’orrenda saggistica wikipedistica, come qualità inferiore a Wikipedia, che infesta un po’ tutti i generi, sport compreso. È il caso di La storia di Roberto Calvi, di Gianfranco Piazzesi e Sandra Bonsanti, uscito nel 1984 per Longanesi e che abbiamo di recente riletto senza un perché diverso dalla curiosità (come opere sull’argomento siamo a quota cinque, ma ne sono state scritte molte di più). I più giovani avranno sentito almeno parlare del Banco Ambrosiano, la cui vicenda nella sua fase terminale può essere anche sintetizzata: in pratica la più grande banca privata italiana, nonché il punto di riferimento della cosiddetta finanza cattolica, era governata da Calvi (dal 1971 come direttore generale, dal 1975 come presidente) che lì vi aveva fatto tutta la carriera partendo dal basso. Ma Calvi del Banco voleva il controllo assoluto e così con un complicato sistema di società in paradisi fiscali, che usufruivano di prestiti in pratica illimitati delle consociate estere del Banco stesso, ne aveva acquistato il pacchetto di controllo. La sintesi è brutale, perché in questa storia sono coprotagonisti la P2 (Gelli aveva una linea riservata anche con la casa di campagna di Calvi, a Drezzo), la grande finanza (memorabile il dentro-fuori, con straordinario tempismo, di De Benedetti), i partiti politici (DC e PSI in particolare) e i giornali che Calvi finanziava a pioggia, Sindona, la Rizzoli e il Corriere della Sera, faccendieri dalla vita incredibile ma anche il Vaticano attraverso lo Ior malissimo gestito da monsignor Marcinkus.

Piazzesi e la Bonsanti, che all’epoca scrivevano rispettivamente per Stampa e Repubblica, non si limitano a mettere insieme tutte la parti della storia integrando verità giudiziarie con loro fonti esclusive, impresa che già di per sé sarebbe difficile. Vanno oltre il libro di inchiesta, usando due strumenti straordinari: la buona scrittura e il rispetto. La prima non è affatto scontata, soprattutto quando si ricostruiscono storie complesse e ad altissimo rischio di querela. Invece i due autori riescono a dare a un libro giornalistico il passo del romanzo, delineando con cura anche i personaggi minori e quelli, magari non minori, ma che non lasceranno tracce nei libri di storia. È il caso ad esempio di Flavio Carboni, ingabbiato nella definizione di faccendiere ma in realtà avventuriero spericolato dalla vita vissuta a mille chilometri all’ora, incurante della montagna di debiti e situazioni personali da gestire. Buona scrittura ma anche rispetto, perché in nessuna pagina c’è il gusto di infierire su un uomo morto e ricordato come un appestato anche (soprattutto) dai beneficiari dei suoi prestiti. La complessità della figura di Calvi viene restituita da dettagli importanti: militare nella disastrosa campagna di Russia, scampato per miracolo al freddo e ai sovietici, impiegato precisissimo come dovevano esserlo i bancari di una volta, marito e padre impeccabile, per niente mondano e presenzialista, con nessun vero amico e quindi in balìa di chi sapeva toccare le corde giuste.

Gli ultimi giorni di Calvi, nel giugno del 1982, mentre chi lo doveva proteggere sembrava più interessato alle partite del Mondiale spagnolo, sarebbero difficili da immaginare anche nella più ardita delle fiction. Non si fidava più di nessuno e per questo era finito in uno squallidissimo residence di Londra, con l’inseparabile valigetta di pelle da cui sarebbe stato separato dopo essere stato suicidato, con la più improbabile delle impiccagioni, sotto il Blackfriars Bridge. Molte le persone che potevano essere interessate alla sua morte, visto che essendo ormai disperato (era già stato in carcere nel 1981 e soprattutto il Banco sotto la pressione della Banca d’Italia doveva rientrare di parte della sua enorme esposizione) minacciava di raccontare molti segreti della storia d’Italia degli ultimi decenni. Lui personalmente era convinto, come aveva rivelato ai familiari, che il suo primo nemico fosse il Vaticano per tutto ciò che aveva messo in piedi con Marcinkus, ma anche per tanti finanziamenti poco pubblicizzabili, come quelli a Solidarnosc e ad alcune dittature sudamericane. Una parte della storia che oggi si è volutamente dimenticato buttando Calvi nel calderone della P2, come se tutti gli iscritti alla loggia di Gelli fossero stati ammazzati. Comunque un libro assolutamente da conoscere, per integrare la lettura dei più recenti e più completi come verità giudiziarie (alla fine tutti assolti, più o meno). La storia di Roberto Calvi ha però rispetto al molto che è stato scritto dopo (da Pippo Calò alla immancabile, seconda solo ai servizi deviati, Banda della Magliana) il pregio dell’immediatezza e anche di una certa ironia: nemmeno un comico potrebbe dire che il Vaticano per un certo periodo si è trovato a controllare Tv Sorrisi e Canzoni, eppure è andata proprio così. Ma chi era Roberto Calvi? E cosa voleva davvero? È forse più facile trovare mandanti ed esecutori dell’omicidio che la risposta a queste due domande.

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