La seconda nascita di Wawrinka

27 Gennaio 2014 di Simone Basso

La nuova vita tennistica di Stanislas Wawrinka ha appena compiuto un anno. Nel 2013, proprio alla Rod Laver Arena, opposto negli ottavi all’allora numero uno del mondo Novak Djokovic, perse in cinque set epici – 10/12 l’ultimo parziale – sfiorando l’impresa clamorosa. Stan, da quella torrida serata agli Aussie Open, ha cominciato un’altra carriera. Merito di Magnus Norman, uno che era già allenatore di se stesso (…) quando giocava, e di una convinzione psicofisica mai così elevata. Perchè il talento del vodese, malgrado l’ombra del monolite Federer, è sempre stato evidente. Il tennis orizzontale e verticale, gli spostamenti laterali meno complicati rispetto al passato; un servizio potente e variegato, un diritto finalmente sicuro e l’arma letale di un rovescio straordinario. Regale (e classico) nell’esecuzione, chirurgico nella precisione balistica.

Così, dopo la semi allo US Open, opposto ancora al Djoker e persa nuovamente in un corpo a corpo estenuante, è arrivato il momentum. Curioso che il Wawrinka due punto zero abbia battuto Djokovic, per la prima volta dopo otto anni, nell’occasione in cui – rispetto alle ultime due sfide Slam – è parso meno scintillante. Sul plexicushion, piaccia o meno, si vince con l’elmetto in testa e un piano tattico solido. E’ stata la mediocrità di Nole, sorprendente nel non trasformare i punti qualità, e poi di Berdych in semifinale, ahilui quasi una certezza, a consegnargli le vittorie. Wawrinka ha realizzato, in un tennis quantitativo come l’attuale, lo scarto decisivo tra giocare i punti, magari fenomenali, e l’intera sfida: l’attimo fuggente, se colto, ribalta le sorti agonistiche.

E nella finalissima si è esibito contro il massimo interprete della materia, un Nadal in condizioni tecniche così così.

Il maiorchino, nei quarti, opposto al solito Dimitrov bello e impossibile, per almeno un’ora aveva fatto il palombaro: il palmo della mano piagato non giustificava la confusione e il liftone smarrito. Al tie-break del terzo parziale il bulgaro si issava al set point, con il servizio a disposizione, che l’avrebbe portato avanti due a uno e virtualmente con lo scalpo dell’avversario. Con il maiorchino fuori posizione, Sharapov (..) sbagliava un comodo schiaffo al volo e si scioglieva sul cemento Il set e mezzo brillante, il momento più alto delle due settimane, del superclassico Federer-Nadal illudeva tutti: malgrado un Roger promettente (l’estate sulla terba lo aspetta…), Rafa giocava la migliore contesa del torneo.
Preciso nel colpire ossessivamente sulla diagonale preferita (la sinistra), esemplare alla battuta, micidiale nei recuperi: anche fin troppo…

Difatti, per spegnere il rivale di mille battaglie, chiedeva troppo alla sua fisicità estrema. Il polacco di Svizzera vinceva il suo primo titolo dello Slam riprendendo il discorso concluso, colla dodicesima sconfitta nei testa a testa (sic), alle Atp Finals di Novembre. Quel pomeriggio, per tutto il match, si era capito che stava adattandosi al gioco stritolatutto dell’iberico.
Così, a Melbourne, sin dall’incipit ha insistito sullo scambio breve, ribaltando l’inerzia del braccio di ferro col lungolinea, persino con diritti – colpiti dall’alto – che rievocavano a Nadal il fantasma di Robin SoderlingUn backhand incrociato maestoso, nel primo gioco del secondo set, era la polaroid perfetta dell’istante di Stan. A Dicembre Rafa, al pari di Djokovic, aveva preparato (…) l’annata condividendo col belgradese i fasti di una remuneratissima tournée sudamericana.
Proprio lo stesso errore che è costato addirittura la stagione, l’anno precedente, a Federer: vivaddio chi è troppo ingordo, di denaro e di passerelle sponsorizzate, ogni tanto paga il conto. Il resto dell’incontro è stato uno psicodramma – leggero.. – già vissuto: il Tempo Medico chiesto da un Nadal spento, che aveva rinunciato addirittura ai suoi tic (!), un set isterico di Wawrinka che smarriva l’ispirazione oltre che il parziale, e la fiera del coaching.

Alle volpi che racconteranno della grande sorpresa, indichiamo che è stata comunque più logica dell’epilogo del 2002.
Quando l’ottimo Thomas Johansson infilzò il favoritissimo Safin, reduce però da una nottata di bagordi ed amplessi con tre generose safinette: lo sciagurato Marat, un personaggio che nel robotennis odierno ci servirebbe come un’oasi nel deserto… Intanto Wawrinka, abbracciato alla coppa del vincitore, sale al numero tre nella classifica Atp: è ormai il terzo uomo anche in prospettiva Roland Garros, aspettando un Murray più competitivo, un Mago Merlino che sogna il blockbuster a Wimbledon e i tanti, troppi, Godot che dovrebbero salire di livello. Stanislas, a ventotto anni, si gode il trionfo: trattasi del terzo rossocrociato di sempre a conquistare un major e i nomi degli altri – Roger Federer e Martina Hingis – fanno comprendere meglio la portata storica dell’evento. Il suo futuro prossimo, visto dalla calda estate australiana, è talmente luminoso da suggerire l’uso degli occhiali da sole…

Pubblicato da Il Giornale del Popolo il 27 Gennaio 2014

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