La scoperta del videopoker

30 Aprile 2013 di Andrea Ferrari

Se Luigi Preiti, invece di fare il Django davanti a Palazzo Chigi, per dirla con Roberto D’Agostino, avesse sparato ad un familiare o ad un vicino, non avremmo né titoli roboanti né analisi sui massimi sistemi partendo da quello che per quello che sappiamo adesso resta il gesto folle di un uomo disperato. Come sempre è partito il festival della strumentalizzazione (da cui non ci riteniamo esenti, visto che il pregiudizio alberga in tutti), con polemiche di basso livello sui presunti mandanti: dalla nuova ossessione dell’intellighenzia italiana verso i grilllini (colpevoli, tra le altre cose, di addormentarsi e di credere, in modo sgangherato quanto volete, in forme di democrazia diretta) fino all’immancabile complottismo di serie C sui servizi deviati.

Resta un dato di fatto: Preiti è una delle tante vittime di quei videopoker che da anni infestano bar et similia con la connivenza dello Stato Italiano, bacchettone e illiberale in molti campi quanto responsabile o perlomeno complice, neanche fossimo una novella Macao, della diffusione del gioco d’azzardo peggiore, quello che è a tutti gli effetti una trappola per giocatori compulsivi, spesso poco scolarizzati e che garantisce enormi guadagni agli imprenditori del ramo (varie inchieste ne hanno delineato il milieu a cavallo tra affarismo-riciclaggio se non vera e propria mafia), il tutto amplificato dalla crisi economica, che tende fisiologicamente a far aumentare il numero di chi sfida la sorte giocando.

Un fenomeno in costante espansione grazie anche a quelle sale giochi che, completamente schermate all’esterno da fotomontaggi trash che mostrano avvenenti ragazze affiancate alle stereotipate icone dei casinò, rappresentano – analogamente ai Compro Oro – un simbolo tangibile di un panorama urbano sempre più degradato e di persone sull’orlo del baratro, non solo economico. Qualcuno potrebbe obiettare che le “macchinette” sono un importante fonte di guadagno per le esangui casse dello Stato, ma in realtà la tassazione su questo tipo di giochi è molto bassa rispetto ad altre attività e sono comunque cifre a cui va sottratto il costo delle cure per i ludodipendenti oltre al costo sociale, praticamente incalcolabile, di quelle famiglie distrutte da chi cade nel vizio, nonché dei gesti disperati che può compiere chi pensa di non avere più nulla da perdere. Un assaggio l’abbiamo visto in diretta davanti a Palazzo Chigi. Ma, ripetiamo, se avesse sparato alla moglie o picchiato la madre (scenari di solito più probabili, per un disperato) non avremmo letto un solo editoriale sulla tensione sociale e sullo squallore di uno Stato che consente l’esistenza legale dei videopoker.

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