La scelta di Anchisi

11 Agosto 2022 di Franco Casalini

Come il Wisconsin – L’indomani vado a prelevarlo all’hotel Rosa, dietro piazza Fontana, a due passi dal Duomo, per portarlo alla Malpensa. Lo aspetto in macchina, esattamente davanti all’ingresso (cosa che oggi appare impossibile, vero?), ma Dan non arriva. Cominciamo bene, penso fra me e me. Intanto esce una bellissima ragazza ed eccolo arrivare dietro di lei.  “Ciao Franco, scusa il ritardo – si giustifica –  stavo prendendo informazioni su quella ragazza”. “Ehi!  – le urla a squarciagola, in mezzo al traffico del mattino –  torno a settembre, ok? Adesso andiamo. Ma qui è come il Wisconsin!”. Fu  l’unico commento, per via degli alberi prima dell’aeroporto. A settembre!

Scelti in dieci secondi – Lo rivedo agli Europei Juniores, a fine agosto. A parte i quattro “vecchi”, D’Antoni, Ferracini e Sylvester più l’altro americano (Mike non era ancora italiano, all’epoca, Sly sì), che sarebbe arrivato, al solito, come avremmo capito in seguito, a ridosso del campionato, si dovevano decidere e scegliere gli altri giovani. I Boselli, Gallinari e Friz erano sicuri, ma mancavano ancora due posti da assegnare,  lui venne a Roseto dove giocavano Anchisi e Battisti, proprio per decidere. Non era una scelta facile, primo perché c’erano altri ragazzi nel vivaio che meritavano, secondo, se non soprattutto, perché all’epoca non c’era mercato durante la stagione: con quelli cominciavi, con quelli finivi il campionato. Non si poteva dunque sbagliare. Infinite discussioni, durante l’estate, con Cappellari e Roggiani, per vivisezionare questo e quello: difende poco, si allena bene, o male, chissà come reagisce il tale alla prima squadra, e via coi dubbi, legittimi e responsabili, ciascuno coi propri prescelti. Non nascondo che io spingevo per i due di Roseto, dal momento che li avevo allenati fin da quando erano quattordicenni. Finisce l’ultima partita, saliamo in macchina, stavolta la mia,  e mi domanda: “Ma ‘sti due ragazzi, si cagano addosso, in partita?”. “Direi di no, coach – rispondo – abbiamo appena vinto il titolo juniores”. “Ok, li mettiamo in squadra”. Tempo necessario per prendere la decisione? Non eravamo neanche al casello di Roseto. “Ed ora, svegliami in via Caltanissetta” – dice mentre si stende verso il finestrino. Buona notte! Decisa la squadra. Certo, apprezzo la fiducia nella  mia guida, ma in 500 chilometri di viaggio, un po’ di compagnia l’avrei gradita…

Occhi dietro la schiena – A dire il vero, mi risultava che lui volesse portarsi a Milano il suo assistente di fiducia, John McMillen. Fosse vero o no, credo comunque sia stato Cappellari ad insistere perché si avvalesse di me e Roggiani, e immagino che lui abbia accettato, senza credo conoscerci, anche se oramai avevamo entrambi una certo passato professionale, sia pure a livello giovanile. Magari avrà anche cercato di insistere, ma una volta accettato eravamo diventati di diritto i “suoi” assistenti,  avrebbe in seguito difeso in tutti i modi il suo “staff tecnico”. Anche quando, di lì a qualche mese, avrebbe avuto motivo di darci un bel calcio nel sedere. Sia io che Guglielmo, all’inizio, gli davamo rispettosamente del lei, come succedeva con Rubini e tutti i grandi del basket con cui avevamo a che fare. Il che non ci impediva, beata gioventù, di fargli le smorfie, esattamente come con Rubini, quando lo mettevamo in mezzo. Durante i colloqui a tre, quello a cui lui dava le spalle gli faceva, appunto, le smorfie, mentre l’altro teneva il discorso. La sfida era, per colui che gli stava di fronte, riuscire a restare serio. Evidentemente avevamo acquisito una certa padronanza, dal momento che non si era mai accorto di nulla. O almeno così sembrava. Evitate commenti, prego: eravamo giovani ed entusiasti! Alla stazione di Venezia, verso dicembre o gennaio di quella prima stagione, ci decidiamo: che dici, gli chiediamo di dargli del tu? Sarebbe così comodo! Senza pensare che, per un americano, non esiste alcuna differenza, fra lei e tu. E sia, andiamo. “Scusi, coach, vorremmo chiederle una cosa: potremmo darle del tu, anziché del lei. Sa, è per via della velocità di comunicazione, anche in partita, ne saremmo facilitati, etc., etc”. “Così, vorreste darmi del tu – replicò -: a parte il fatto che non mi interessa niente, perché non fa differenza per me. Ma mi venite a chiedere una cosa del genere dopo che sono mesi che mi fate le “focacce” dietro la schiena? Va bene, non c’è problema”. Dopo il terrore iniziale (ma chi è, un mago?), ci guardammo negli occhi, io e Guglielmo, e ci vergognammo come educande. Sbocciò così la definitiva, imperitura ammirazione per quel piccolo, grande uomo.

Estratto di ‘E via… verso una nuova avventura! 1978-1990: la squadra della nostra vita‘, libro scritto da Franco Casalini con Mino Taveri (prefazione di Dino Meneghin, postfazione di Mike D’Antoni) e pubblicato da Indiscreto nel 2011.

 

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