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Giochi Olimpici

La psicologia di Agassi

Stefano Olivari 03/08/2012

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Federica Pellegrini e Filippo Magnini dovrebbero secondo molti imparare l’ipocrisia di realtà, anche sportive, molto diverse dal nuoto e dalla sua limpidezza. Nel nuoto c’è chi arriva primo, chi secondo, chi quinto e non può dare la colpa all’arbitro o ai poteri forti, ma al massimo alla preparazione sbagliata. Magnini deve essere buddista, per come non ha messo le mani addosso a chi per la millesima volta gli ha chiesto ‘Come hai visto Federica?’, la Pellegrini per la sua storia e i suoi sacrifici non può essere simpatica a chi pensa che tutti debbano essere raccomandati, ringraziare qualcuno o fare i finti preti alla Prandelli. Detto questo, per tutti e due può semplicemente valere il discorso che fece una volta Andre Agassi nel periodo di massimo splendore di Sampras: ”Dite tutti che contro di lui ho problemi psicologici, ma la verità è che quando Pete serve al massimo io nemmeno vedo la pallina e nessuna psicologia del mondo mi farebbe rispondere”.  In altre parole: spiegare il declino fisico con un generico ‘calo di testa’ permette di scrivere un buon articolo ed è consolante per gli stessi atleti, mentre dire che c’è chi va più forte e che il passato non tornerà ci fa male, malissimo. Parlare di invecchiamento sembra quasi un peccato di lesa maestà, schiavi come siamo del mito del vecchio campione che non vuole saperne di arrendersi. La vita di un’atleta di vertice non è un eterno e grigio presente come la nostra, ma ha una parabola. Non c’è tecnico, mental coach o metodologia di allenamento che possa cambiare questa realtà. Poi Agassi ha avuto un finale di carriera dignitosissimo, senza nemmeno più Sampras in circolazione ma con altra gente di cilindrata superiore, ritirandosi a 36 anni. Ha saputo accettarlo, anche perché per lui il tennis (da leggere assolutamente ‘Open’, adesso sdoganato anche dalla critica togata) è sempre stato un lavoro e non un missione. Meno che mai l’unico modo di esprimersi.

 

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