La notizia è Spotify

12 Febbraio 2013 di Stefano Olivari

Oh raga, ma lo sapete che il Papa si è dimesso? Ovviamente per noi nonni multimediali la notizia del giorno è lo sbarco di Spotify in Italia, proprio in coincidenza con l’inizio di un Sanremo che potrebbe entrare nella storia (e non certo per le canzoni). In pratica Spotify è un servizio di musica on-demand in streaming (ma come ci siamo ridotti?), con oltre 20 milioni di canzoni disponibili fra cui ovviamente anche quelle del Festival. Cosa serve? Un computer, in alternativa un tablet o uno smarphone. Ma soprattutto una connessione internet. I brani non diventano insomma ‘nostri’, per quanto nemmeno quelli di iTunes in ultima analisi lo siano. Ci sono tre livelli. Al primo non si paga però bisogna subire, si fa per dire, tre minuti di pubblicità ogni ora di ascolto (certo, nel frattempo si può fare altro visto che nessuno guarda la pubblicità: l’ultimo spot che ricordiamo associato a un marchio è quello di Charlize Theron per il Martini, anche se Franco Baresi con il Sakura Fuego rimane insuperabile).  Al secondo si tossiscono 4,99 euro al mese, per l’ascolto online senza pubblicità. Al terzo 9,99 per l’ascolto su più dispositivi, ma con il non trascurabile vantaggio della possibilità di ascolto offline. Non c’è dubbio che un grande successo potrà avere la condivisione di brani e playlist, però… abbiamo sempre diversi però, visto che non prendiamo soldi da Spotify né da alcuna delle aziende di cui parliamo. Uno: l’iPod e tutti gli altri lettori musicali, tagliati fuori dal mondo Spotify (l’abbiamo letto sul sito ufficiale, una delle grandi inchieste di Indiscreto), mantengono una loro specificità insuperabile. Non vale solo per chi corre. Due: c’è davvero tutta questa voglia di condivisione? Su Facebook, Twitter, eccetera? E cosa ce ne frega delle playlist di Messi o di Lady Gaga? Sono domande senza senso, perché Spotify dopo soli quattro anni e rotti di vita è un successo clamoroso e ha già distribuito quasi mezzo miliardo di diritti d’autore. Insomma, hanno avuto ragione i due svedesi che l’hanno creato. Terzo però, secondo noi il più fondato: quale brano, senza magari il video originale, non è ormai rintracciabile su You Tube? Detto questo, l’industria discografica (che ormai in Spotify ha una delle principali fonti di introito) si è suicidata 30 anni fa abbandonando il vinile, un po’ come quella editoriale sta facendo con il libro di carta.

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