Svegliarino

La NBA impossibile

Stefano Olivari 16/10/2008

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La NBA ha circa 900 (novecento!) dipendenti nei soli Stati Uniti. Anzi, aveva, perché qualche giorno fa a Londra a margine della partita fra Nets e Heat il commissioner David Stern ha annunciato il taglio di 80 (ottanta!) di loro dalla sera alla mattina a causa non della crisi economica ma per, parole di Stern, ”anticipare l’inversione di tendenza che ci sarà negli USA”. Tralasciando commenti su questa concezione di flessibilità unilaterale, la traduzione della traduzione: la NBA continua ad essere un ottimo prodotto, che ha come orizzonte commerciale il mondo (non si hanno notizie di licenziamenti nella filiale cinese), ma se vuole crescere deve diventare sempre meno americana. Non ci riferiamo a Gallinari, ma proprio a chi il prodotto lo compra: senza offesa per nessuno, Londra è un mercato che vale più di Milwakee e Parigi di Memphis. La precisazione è arrivata da Berlino, prima di Hornets-Wizards alla O2 Arena: nessuna crisi, è che vogliamo guardare avanti e a nuovi mondi. Tutto può essere, ma non crediamo possibile che l’idea di sport NBA possa attecchire in Europa al di là di esibizionie estemporane. Non certo per motivi di calendario: inserire una division europea completa fin da subito, con 5 franchigie, permetterebbe di limitare i problemi di spostamento ‘portando’ a rotazione una delle altre sei division in Europa (poi non avrebbe più senso parlare di conference, né strutturare la griglia dei playoff su Est e Ovest, ma stiamo facendo del bar prematuro). I motivi sono, più concretamente, che riferita allo sport non esiste in Europa l’idea di ‘evento’ a prescindere dal risultato, su base continuativa: Holiday on Ice si può vedere una volta. Con questo non vogliamo sostenere che la NBA sia finta, anzi è più vera di un’Eurolega in cui un panchinaro del CSKA Mosca guadagna come tutta l’Air Avellino, ma solo che il concetto di sport-spettacolo, senza il sangue delle retrocessioni e dei ‘Bruceremo Cantù’ è lontanissimo dalla nostra mentalità. Se fosse più vicino sarebbe un grande giorno, negli stadi si vedrebbero le mitiche ‘famiglie’ e prenderemmo tutto lo sport nel modo giusto: una cosa che migliora la vita, ma che non è la vita.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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