La Nazionale dei Probabili

11 Febbraio 2011 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
6 – Il girone unico vent’anni prima, lo spareggio contro i bambini, cinque commissari tecnici per farne uno, l’amichevole per autoconvocarsi e l’anno del calendario.


Molte verità storiche passate in giudicato hanno un difetto: non sono…vere. Senza revisionismi forzati, basta analizzare il campionato 1909-10 per rendersi conto che già qui siamo in presenza di un girone unico, vent’anni prima di quanto di solito si pensa (e si scrive). Nell’estate del 1909, dopo il biennio dei due campionati (Italiano e federale), la FIF decide di fare chiarezza e per prima cosa cambia nome diventando la FIGC che tutti oggi conoscono. Purissimo stile italiota, la forma che viene prima della sostanza. Ma almeno in questo caso la sostanza c’è, perché vengono aboliti i gironi di qualificazione regionali: chi ha i requisiti per partecipare alla Prima Categoria lo farà giocando contro tutte le altre pari grado d’Italia in un vero torneo nazionale. Una partita in casa e una in trasferta di tutti contro tutti: con gli occhi del 2011 una banalità, all’epoca una rivoluzione. Nasce così il primo vero campionato italiano come lo intendiamo ai giorni nostri, coinvolgendo dieci squadre: le nove dell’edizione precedente più l’Ausonia per fare cifra tonda. Pochi giorni prima dell’inizio il Venezia però si ritira, per motivi finanziari. A partecipare al primo campionato a girone unico della nostra storia sono quindi due genovesi (Genoa e Andrea Doria), due torinesi (Juventus e Torino), quattro milanesi (Inter, Milan, Milanese e l’Ausonia che in realtà sarebbe di Gorla) e la Pro Vercelli. Nasce il vero campionato (non a caso è il primo che si gioca a cavallo di due anni: c’è stato il campione 1909 e ci sarà quello 1909-10) e si capisce subito che a dominarlo saranno quasi solo città oltre una certa dimensione. E siamo a inizio Novecento, senza diritti televisivi.

Il primo campionato di serie A (va be’, Prima categoria) a girone unico è anche uno dei più polemici della storia, evidenziando molti dei problemi che si trascineranno per decenni. Primo fra tutti quello della squadra di provincia che si sente derubata da quella di città, un po’ per vittimismo e un po’ perché è così davvero. Il torneo è caratterizzato dalla lotta fra l’Inter e la Pro Vercelli, che non si risolve nemmeno all’ultima giornata. A parità di punti in classifica, la federazione decreta quindi la necessità di uno spareggio. E qui inizia la guerra, perché sulle prime la FIGC vorrebbe far disputare la partita in campo neutro a Torino il 17 aprile. La Pro Vercelli e il suo presidente Luigi Bozino mettono in campo avvocati ed ottengono che lo spareggio si disputi sul proprio campo, in virtù della migliore differenza reti. Non solo: essendo alcuni giocatori vercellesi impegnati in un torneo studentesco, la partita viene rinviata di una settimana. Nemmeno quella data va però bene a Bozino, visto che il 24 aprile tre suoi giocatori saranno impegnati con una selezione militare. L’Inter rifiuta un ulteriore spostamento e la data rimane quella. Quel memorabile giorno a Vercelli Bozino manda in campo una squadra di ragazzini, nel vero senso della parola: tutti under 15, fra i quali addirittura un undicenne. Lo spirito del gesto è quello di convincere l’Inter a concedere il rinvio, ma i nerazzurri scendono in campo al completo e maramaldeggiano (10 a 3) contro i bambini vercellesi. Il primo campionato italiano a girone unico viene assegnato così, con questo assurdo spareggio e una coda legale lunghissima. La Pro Vercelli contesta soprattutto il tesseramento come italiano di Ermanno Aebi, che in realtà è svizzero solo a metà (giocherà infatti nella nazionale italiana) ed è nato a Milano. Finisce e inizia così, fra squalifiche alla Pro Vercelli e rancori che si trascineranno per anni.


Presi dal campionato e dai suoi mille cambi di formula, non abbiamo ancora parlato della Nazionale. Cioè dell’entità che per almeno 80 anni, dalla sua nascita fino al Mondiale del 1990, è stata l’elemento trainante del sistema anche quando ha dovuto confrontarsi con la popolarità e le vittorie dei grandi club. Proprio nella stagione 1909-10 la FIGC decide di dare una logica ad un’attività che fino a quel momento è stata ufficiosa, fra selezioni messe insieme all’ultimo momento (e piene di stranieri) ed esibizioni da fiera di paese. Non c’è una vera e propria strategia, ma solo la volontà di copiare quanto si sta facendo nel resto d’Europa dove con poche eccezioni la nazionale riesce ad ottenere più attenzioni del pubblico rispetto all’attività dei club. Finora abbiamo descritto la FIGC come una sorta di entità astratta, in realtà la federazione è per composizione qualcosa di molto simile alla Lega dei giorni nostri. A dirigerla sono rappresentanti delle maggiori società e qualche notabile bisognoso di una vetrina, con i presidenti che si avvicendano senza che nessuno abbia un’idea di fondo sullo sviluppo di questo sport. Con Luigi Bosisio, diventato numero uno della FIGC nel 1909, le cose però cambiano leggermente: lui e il segretario Baraldi vedono quanto sta avvenendo all’estero e pensano che una squadra di tutti gli italiani riuscirà a placare le polemiche che crescono stagione dopo stagione con qualsiasi pretesto: quella del momento è il dualismo città-provincia, con la vicenda Pro Vercelli-Inter a rappresentarla alla perfezione. Bisogna scegliere il commissario tecnico e non c’è sulla piazza alcun nome indiscutibile, anche perchè la figura dell’allenatore non è ancora scissa da quella del dirigente o del giocatore. E così invece del commissario nasce la prima di una lunga serie di commissioni. Bosisio chiama a farne parte Umberto Meazza e Agostino Recalcati della Milanese, Giuseppe Gama dell’Inter, Gianni Camperio del Milan e Alberto Crivelli dell’Ausonia. Il quintetto di uguali decide che il più uguale di tutti sarà Meazza, che guiderà gli allenamenti ed avrà l’ultima parola su una formazione che sarà comunque frutto di trattative.

Fatta l’Italia, occorrono cavourianamente gli italiani ma anche gli avversari. La FIGC per l’esordio della sua Nazionale invita la Francia, un po’ per motivi di prestigio e un po’ per vicinanza geografica: invito accettato, si giocherà il 15 maggio 1910 all’Arena di Milano. Fin da subito si capisce che le convocazioni saranno un problema: i giocatori della Pro Vercelli sono quasi tutti squalificati dopo che non si sono presentati in campo per lo spareggio-campionato con l’Inter, ma sul piano tecnico l’ossatura della squadra dovrebbe essere formata dai loro elementi migliori. I cinque componenti la commissione tecnica non raggiungono l’accordo praticamente su alcun nome, così decidono di convocare 24 giocatori: per l’epoca una enormità. Due vengono scartati per le precarie condizioni fisiche, i rimanenti 22 vengono divisi in due squadre che giocano una amichevole poco amichevole a porte chiuse. La formazione teoricamente migliore viene definita dall’allenatore Meazza ‘Probabili’, mentre quella teoricamente peggiore ‘Possibili’. Da questa sfida Probabili-Possibili uscirà la prima Nazionale italiana, non come mista dei migliori elementi delle due ma proprio come squadra intera. Vincono i Probabili, contro la Francia dovrebbero giocare loro. Ma i cinque commissari, tutti milanesi, litigano su tutto e alla fine si opta per la mista. Inutile copiare la formazione dagli almanacchi, utile ricordare che in questi anni le convocazioni sono fatte anche tenendo presenti gli spostamenti: 9 titolari giocano in squadre milanesi e due nel Torino.


Dopo le relative emozioni generate dalla nascita della Nazionale si ritorna al campionato di Prima Categoria, che la FIGC vorrebbe portare anche fuori dalle solite regioni. Ma nel 1910 i tempi non sembrano ancora maturi, sia dal punto

di vista dei trasporti che da quello del professionismo della maggior parte dei calciatori. Si prova a conquistare tutto il Veneto e l’Emilia accettando le iscrizioni di Vicenza, Verona e Bologna, ma dalle amichevoli estive emerge che le distanze con le squadre più forti del triangolo industriale Milano-Torino-Genova sono enormi e si commette quindi un errore: si confinano le neo-iscritte in un girone veneto-emiliano (insieme anche al Venezia), la cui vincitrice affronterà in una finale squilibrata la vincitrice del campionato delle più forti. Il girone unico viene quindi formalmente, anche se non praticamente (le più forti giocano comunque fra di loro), abbandonato. E nel campionato vero (a nove squadre) si assiste a uno show della Pro Vercelli tutta italiana, che piega la resistenza del Milan che ha come uomo simbolo l’attaccante belga Van Hege. Nella finale i piemontesi passeggiano con il Vicenza, mentre la Juventus si classifica sorprendentemente ultima. Non ci sono però retrocessioni, anche perchè la FIGC non vuole rischiare di perdere quelle poche realtà importanti che si stanno radicando sul territorio. Dal punto di vista dello sviluppo del calcio la 1910-11 non è insomma una stagione memorabile, ma da quello organizzativo ha almeno il merito di introdurre il calendario centralizzato. Cioé con le date delle partite decise in anticipo dalle federazione e non concordate volta per volta dalle squadre coinvolte. (6-continua)

stefano@indiscreto.it

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