Atletica

La meravigliosa Sara Simeoni

Oscar Eleni 18/04/2020

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Oscar Eleni nei sogni del Serengeti tanzaniano fra bestie selvagge che assomigliano tanto a chi governa questo mondo, i sciuri, ovviamente, poi i capi “liberamente” eletti da Washington a Brasilia.

Dopo le vaccate sentite nel basket alla deriva, impoverito da se stesso, ultimo il Bertomeu dell’eurolega che crede nell’impossibile per non perdere quattrini e prestigio, meglio schivare le mine del diavoletto vanitoso che sa tutto, che ha già scritto tutto prima degli altri.

Meglio pensare ad altro e, come sempre, ci viene in soccorso, come ai tempi della Gazzetta, dei giornali dove mi hanno fatto lavorare dopo, l’Augusto Frasca amico vero dell’atletica, della gente, anche se ogni tanto gli piace guardare troppo indietro.

Il 19 aprile 1953, sotto il cardinale del fuoco, alla cuspide fra ariete e toro è nata, a Rivoli Veronese, Sara Simeoni, oro olimpico a Mosca 1980 nel salto in alto, commendatore della Repubblica di cui è anche Grande Ufficiale, una che ha superato di 1 centimetro il muro dei 2 metri, lei alta 1 metro e 78, prima a Brescia il 4 agosto del 1978 e poi, vincendo l’europeo nelle tormente di Praga, il 31 dello stesso mese, un anno dopo aver  rivinto a Milano il titolo europeo indoor che era già stato suo a San Sebastiano nel 1976, stagione in cui si prese l’argento olimpico a Montreal, titolo che si prese anche a Sindelfingen e Grenoble, prima del volo dorato nei giochi moscoviti. Ha chiuso in gloria con l’argento ai Giochi dimezzati di Los Angeles nel 1984. La più grande di sempre nello sport femminile italiano, imitata più tardi, nel nuoto, da Federica Pellegrini.

Auguri Sara con Erminio Azzaro, compagno di una vita, allenatore, dopo essere cresciuta  seguendo la passione, la competenza del professor Bragagnolo che l’aveva fortunatamente rapita alla danza classica. Una vita con sorella Sara, badessa nel monastero dorato di Formia insieme a fratello Pietro Mennea, con cui parlava pochissimo come ha confessato alla Gaia Piccardi del Curierun, ma che capiva benissimo, magari sedendosi  allo stesso tavolo di Chinappi nel regno di Elio Papponetti.

La prima volta fu ad un campionato italiano che vinse, aspettando il suo turno, leggendo fumetti. Poi la meravigliosa esperienza degli europei giovanili parigini a Colombes dove ci aveva mandato Zanetti, il direttore della Gazzetta, che allevava i giornalisti come si dovrebbe fare sempre: facendoli educare dalle esperienze sul campo delle giovanili, in quel gruppo Mennea, Fava, Tomasini, Buttari, un mondo diverso governato dalla lucida intelligenza del cinico Marcello Pagani poi cittì nell’era Nebiolo che resta il migliore, nonostante la sua esagerata voglia di essere Primo anche allungando qualche salto come quello mondiale di Evangelisti a Roma 1987 quando Sara si era già ritirata.

Alfredo Berra, un maestro, un genio, un campione di giornalismo, ci aveva aperto il mare suggerendo di passare all’Equipe dal suo amico, il grande Parientè che, sogghignando alla francese, ci affidò all’Alain Billouin con cui avremmo camminato per tanto tempo prima che i mostri del doping e dell’antidoping dividessero le nostre strade.

Incantati da Sara che stette al gioco dopo la qualificazione quando tornammo al refettorio azzurro: fingevamo delusione, facendo credere a Bragagnolo che non aveva passato le qualificazioni. Ci siamo esaltati, divertiti con questa regina. Una grande atleta, una donna completa, una persona che all’atletica ha dato tutto e che ancora avrebbe da dare: il suo talento, la sua intelligenza, la sua voglia di sfide come quando come allenatore, prima che come compagno della vita, scelse Azzaro, allievo di Vittori, come l’aquila Crosa, Schivo il caro pittore, il saraceno come lo sfotteva Elio Locatelli amandone l’energia e il coraggio, un campione in pedana, un buon maestro quando scelse la migliore per la sua nuova esperienza sul campo.

Auguri Sara. Sei stata meravigliosa.

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