La maratona dei vecchi bianchi

5 Novembre 2013 di Stefano Olivari

Avremmo vinto la maratona di New York, se domenica scorsa vi avessimo partecipato invece di stare davanti al televisore a emozionarci per l’ennesima impresa di Valeria Straneo (‘solo quinta’, in giornalistese extracalcio: noi siamo quelli del Pallone d’Oro alla carriera). Con qualche precisazione: avremmo vinto andando del nostro passo quando stiamo bene (5′ al chilometro, sui 10.000 quasi quotidiani che sopportiamo grazie a Steve Jobs) e ipotizzando di resistere 42 chilometri e 195 metri (mai andati in vita nostra oltre i 25 km), ma purtroppo solo nella categoria di età 65-69 in cui invece ha trionfato il francese Gerard Soulier con un notevole, rapportato a tutto, 3.20.43. Nella nostra classe di età, 45-49, saremmo invece arrivati a tre quarti d’ora di distanza dall’americano Rich Power. Insomma, visto che intorno al trentesimo chilometro tutti i maratoneti dicono di entrare in un’altra dimensione, stiamo scherzando e al massimo potremmo correre la Deejay Ten (a proposito, perché Bragagna ce l’ha con Linus? Gelosie da parrocchietta, forse…) o una mezza sperando di arrivare alla fine. Non è invece uno scherzo il fatto che la maratona ‘vera’, quella che fa girare il motore finanziario delle varie organizzazioni, sia quella degli amatori e non quella stravinta da Geoffrey Mutai. 45mila persone che fra accompagnatori e amici significano un minimo di 150mila esseri umani disposti a spendere qualsiasi cifra per stare quasi una settimana a New York ma anche in città molto meno stimolanti. Banale ma doveroso osservare che nei primi posti delle varie categorie di amatori non c’è traccia di africani, keniani o non keniani: ci sono americani, tedeschi, francesi e tanti italiani. Danilo Goffi, proprio l’argento dell’Europeo 1998 a Budapest dietro Stefano Baldini e di fatto amatore da un paio d’anni, ha vinto nella classe 40-44, mentre Franca Fiacconi si è classificata terza nella fascia 45-49. Ma buoni risultati li hanno ottenuti anche non famosi come Natali, Borghesi, Consolati e una come Claudia Pinna che è tutt’altro che una dilettante (nel 2007 campionessa italiana assoluta nei 5.000, a 36 anni in maratona ha ancora ambizioni). E quindi? La propensione alla corsa dei keniani, mito duro a morire, è in realtà allenamento devastante unito a un rapporto peso potenza perfetto per mezzofondo e fondo, mancanza di alternative sportive credibili in loco, voglia e necessità di prendere l’atletica come un lavoro vero, latitanza (diciamolo) di controlli antidoping a sorpresa. E pochi di loro corrono per scherzo, per dimagrire, per inseguire il tempo perduto o semplicemente perché amano l’atletica. Guardando i tempi 2013 sul sito della IAAF, con un po’ di pazienza si arriva al 49esimo posto, dove il giapponese Kazuhiro Maeda con 2.08.00 è il primo non africano. Ancora qualche nome e al posto numero 72 c’è il francese Abraham Kiprotich: francese tarocco, chiaramente, fratello minore (di 25 anni!) di quel (defunto) Paul Kipkoech che ai Mondiali di Roma 1987 vinse i 10.000 davanti a Francesco Panetta. Al numero 107 lo spagnolo (in realtà marocchino fino all’età di 26 anni) Ayad Lamdassem. Al numero 118 il primo bianco, caucasico o come lo vogliamo chiamare, l’americano Dathan Ritzenhein (uno che ha temponi anche su 5.000 e 10.000) e al numero 151 il primo europeo vero, lo svizzero Viktor Rothlin. Conclusione? Incomprensibili certe fughe in avanti di chi in pista o nel cross ha almeno una dimensione europea, come Meucci e Lalli. Conclusione bis? L’atletica è molto amata dagli europei oltre i 35 anni e un po’ meno da quelli giovani. Al bar avrebbero una spiegazione sicura, sia per gli uomini che per le donne. Usciti dal bar pensiamo invece che per apprezzare la vera bellezza ci vogliano tempo e maturità.

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