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Turborovescio

La mafia non russa

di Stefano Olivari

Pubblicato il 2007-10-02

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TOC TOC – Si può pensare che Nikolay Davydenko giri con il mitra nella custodia della racchetta e che di soliti vesta un colbacco, ma forse – invece di addebitare a lui l’unico caso sospetto di scommesse del tennis – bisognerebbe cominciare ad ascoltare le testimonianze che ormai escono a raffica su vari tentativi di condizionamento avvenuti nel circuito. Insomma, è vero: se una prova è una prova e due sono un indizio, l’ormai famoso caso di Davydenko a Sopot di prove ne contiene tre. Il punteggio, il momento del ritiro e l’ammontare delle scommesse su Betfair. Possiamo ritenere impossibile che un tennista nei primi – diciamo – cento del mondo si rovini punteggio e carriera per poche migliaia di euro: vogliamo allora pensare a cosa potrebbe voler dire vivere con la mafia che ti bussa alla porta? Quella vera, naturalmente…
NON E’ SUCCESSO NULLA – Il problema, però, è che il fenomeno esiste, non certo per i Federer e i Nadal, ma certamente per i Berlocq o i Bennetau (protagonisti di un caso a Wimbledon). In pratica: sarebbe bello che il tennis restasse lo sport dei gesti bianchi, ma non vivendo fuori da questo mondo bisogna arrendersi al fatto che anche nel nostro orticello la tentazione è forte. Lo è quella del doping, lo è quella di arraffare qualche dollaro in più quando bisogna sopravvivere nelle decine di tornei minori che non offrono neppure un albergo a due stelle per la notte. Così tra scommesse sui parziali, sui singoli 15 e perfino su chi serve più forte, le “combine” non sono certo impossibili. E a questo punto le strade sono due: colpire duramente al primo sbaglio oppure accettare che la truffa faccia parte del gioco. La terza, quella di dire che fino a che non ci sono le prove non si può fare nulla, la lasciamo al capo dell’Atp.
IL SOSPETTO – Perché non si può più far finta di nulla: secondo il Sunday Telegraph 138 incontri sarebbero stati truccati dal 2003 a oggi, mentre Le Journale de Dimanche e l’Equipe ieri hanno pubblicato i nomi di 5 italiani che avrebbero un conto aperto con un’agenzia di scommesse on-line. Di questi – Starace, Bracciali, Galimberti, Luzzi e Di Mauro – per ora due hanno ammesso il fatto dicendo però di puntare solo sul Casinò e su altri sport. Intendiamoci: scommettere on line non è reato. E forse, parliamo dell’ex tennista Gaudenzi, non è neppure strano fare il manager di tennisti e contemporaneamente il consulente di Bwin. Però, come vogliamo chiamarla: ingenuità?
VENTO IN COPPA – Dimenticando gli anni in cui siamo rimasti nel World Group della Davis grazie a sorteggi che chiamiamo fortunati senza offesa alla fortuna, si alzano già alti i lai per quello che l’urna ci ha riservato nella prossima edizione della serie B. Andiamo in Croazia, ovvero abbiamo l’avversaria più difficile in considerazione del fatto che ci poteva capitare subito la Macedonia in casa che invece, molto probabilmente, incontreremo a settembre nello spareggio per non retrocedere. Contro Ancic e Ljubicic speranze non ce ne sono, basta guardare i risultati degli Slam e fare confronti. Dopodiché capita di incontrarli nel Gruppo 1 e magari vincere. Ma se così fosse ce la prenderemmo con i giornalisti disfattisti?
MADE IN CHINA – Sicuramente per chi ci lavora è una bella notizia. Ma il fatto che l’azienda Sergio Tacchini di Bellinzago sia diventata un marchio cinese segna il finire di un’epoca per noi nostalgici delle magliette di una volta. Tempi di Connors, Nastase, McEnroe e Gerulaitis, tempi in cui i nostri marchi e qualche nostro tennista comandavano nel circuito. Ora, dopo il rischio di fallimento e la richiesta di concordato preventivo, ecco che la Tacchini passa alla Hembly International Holdings, azienda cinese che controllerà il gruppo tramite il marchio HT4 e che prevede di trasformare la Sergio Tacchini in un “brand destinato alla fascia di mercato tempo libero-casual”. E il tennis?

Marco Lombardo
marcopietro.lombardo@ilgiornale.it

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