La febbre da cavallo di Gigi Proietti

2 Novembre 2020 di Stefano Olivari

Gigi Proietti è morto a 80 anni esatti, pare per problemi al cuore e non per Covid: ma che differenza fa? Ce lo chiediamo perché ormai sembra accettabile morire di cancro o di infarto, l’importante è ormai solo evitare il virus. Con Proietti se ne va un grande uomo di spettacolo bravo in troppe cose per poter essere bravissimo in una: una carriera di innumerevoli successi a teatro e in televisione, senza dimenticare il doppiaggio e le canzoni, però mai decollata nel cinema al di fuori di ruoli molto ‘romani’. Con il più famoso che rimarrà per sempre quello di Bruno Fioretti, detto Mandrake, in Febbre da cavallo.

Film triplamente di culto, il Febbre da cavallo di Steno, quello uscito nel 1976 con zero successo di critica e pochissimo di pubblico. Perché fotografa Roma come pochi altri ed è per questo che il suo rilancio avvenne prima sulle tivù locali della Capitale per poi dilagare in tutta Italia, con milioni di persone, noi fra queste, che lo riguardano anticipando le battute. Quanti hanno utilizzato Soldatino, King e D’Artagnan nelle mille password della vita moderna?

Perché rappresenta gli anni Settanta dell’Italia profonda, quella non politicizzata che si lascia vivere: non che sia un pregio, il lasciarsi vivere, ma è un’Italia che esiste e che vota. E perché, terza ragione del culto, racconta un mondo dell’ippica (è girato in gran parte a Tor di Valle) che è stato davvero popolare fino alla fine degli anni Novanta, quando le scommesse calcistiche sono diventati legali in Italia: fino ad allora per puntare sulle singole partite bisognava ricorrere al totonero e gli ippodromi erano pieni di intermediari e raccoglitori di puntate.

Febbre da cavallo è, come tante opere diventate per noi di culto, un film modesto, non tanto superiore al seguito di 26 anni dopo girato dai figli di Steno (cioè dai fratelli Vanzina), ma come tutti i film di culto è pienissimo di spirito del tempo e di personaggi memorabili. Da gente che ha fatto la storia della commedia all’italiana, come un fantastico Mario Carotenuto-avvocato De Marchis, al driver pagato in ritardo (un super classico dell’ippica) fino a icone come Catherine Spaak, senza ovviamente dimenticare Montesano -Er Pomata.

Su tutti però svetta un Proietti in forma strepitosa dall’inizio alla fine, quando spiega a modo suo la psicologia dello scommettitore al giudice (un Adolfo Celi che peraltro la conosce benissimo), che tutti gli amanti di questo mondo hanno sentito come propria. L’ippica in Italia è morta molto prima di Gigi Proietti, per mille motivi (e la sensibilità animalista non è fra primi, va purtroppo detto), ma la grandezza del cinema è quella di rendere eterni tanti nostri pomeriggi e anche giganti come Gigi Proietti.

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