La differenza fra Schiavone e Panatta

7 Settembre 2018 di Indiscreto

Francesca Schiavone ha appena lasciato il tennis agonistico, a 38 anni e dopo una carriera in cui è stata numero 4 del mondo, ha vinto il Roland Garros, tre Fed Cup e vari tornei di medio livello. Più o meno la stessa carriera di Adriano Panatta, anche lui ex numero 4 del mondo e con il Roland Garros come gemma, pur essendo la tennista milanese durata molto di più a livello medio-alto. Entrambi ottimi doppisti, fra l’altro, pur non avendoci mai creduto molto. Sono i due migliori giocatori italiani dell’era Open, pur avendo cittadinanza la candidatura di Flavia Pennetta, visto che tutto ciò che c’è stato prima, Pietrangeli compreso, è purtroppo da asteriscare. E allora perché Panatta è un’icona che ha segnato un’epoca non solo nello sport mentre la Schiavone ha guadagnato considerazione soltanto fra gli appassionati di tennis?

La prima risposta è doverosamente sessista: perché la Schiavone è una donna. Dopo decenni in cui abbiamo sentito discorsi sul tennis che aveva bisogno di modelli per poter tornare nel cuore dell’italiano medio (in realtà non lo è mai stato) e non avere i propri campi convertiti in più lucrosi campi da calcetto, ci siamo ritrovati con una generazione fantastica (inutile ricordare i successi di Pennetta, Vinci ed Errani) e complessivamente molto più vincente di quella di Panatta-Barazzutti-Bertolucci-Zugarelli, ma al di là dei complimenti e dell’ammirazione di chi segue il tennis tutto è rimasto circoscritto e poca gente, anche nei bar con Gazzetta spiegazzata sopra il frigorifero Sammontana, ha una vaga idea di chi sia la Schiavone. Lo sport femminile di alto livello, parliamo di sport-spettacolo e non di pratica, vale sempre meno di quello maschile e le prime a pensarlo sono le donne, come spettatrici e come atlete. Diversamente il tennis femminile non avrebbe una audience televisiva media pari a un terzo di quella maschile, rendendo così pretestuose tutte le polemiche sui premi (semmai dovrebbero lamentarsi gli uomini).

La seconda risposta è invece figlia dei tempi: Panatta è stato grande nell’epoca in cui il tennis veniva trasmesso, sia pure male e spesso tagliato, in chiaro su quei pochi canali televisivi che c’erano: diventare personaggi nell’Italia degli anni Settanta era per un non calciatore più facile, a parità di risultati. Il famoso quarto di finale di Wimbledon 1979 fra Adriano e Pat Dupré fu trasmesso per un intero pomeriggio su Rai 1, portando anche al rinvio del Tg1 delle 20 (forse per la prima volta nella storia). Anche se le finali parigine della Schiavone sono state trasmesse in chiaro (a proposito: l’ultima sua partita vera rimarrà quella dello scorso luglio a Gstaad contro la Stosur…), la sua carriera è stata criptata. Non è colpa di nessuno, tantomeno del calcio (non c’è un dittatore che ci obbliga a guardare Frosinone-Spal invece di Nadal-Del Potro), ma i tempi sono stati sicuramente diversi. Rimane il ricordo di una campionessa non tanto muscolata, e quindi più femminile della media, ma al tempo stesso capace di giocare un tennis al di fuori di quegli schemi a cui le donne spesso si aggrappano, mal consigliate da allenatori-cani o da padri frustrati, avidi di inquadrature in mezzo a fisioterapisti, fidanzati/e, mental coach, manager e scrocconi vari. La Schiavone era diversa: un’acrobata sempre sul filo, una che non sapeva, lei per prima, come avrebbe giocato il prossimo punto. Per questo vedere le sue partite non è stato tempo buttato.

Share this article