La differenza fra Jura e Kenney

7 Maggio 2013 di Stefano Olivari

La maglia numero 18 di Art Kenney sarà ritirata per sempre venerdì sera dall’Olimpia Milano, in coincidenza con l’inizio di playoff nel tremendo quarto contro Siena. Playoff apertissimi, in cui la squadra di Scariolo ha le stesse possibilità di uscire subito come di inanellare un Fo’-fo’-fo’ alla Moses Malone. Di sicuro un esordio subito ad alta tensione, il che rende ancora più importante l’0maggio a Kenney e alla sua 18 (ricordiamo che all’epoca la numerazione andava dal 4 al 20). A questo punto un giovane appassionato, che ha giusto sentito nominare Kenney o che magari ne ha letto in qualche articolo (primi fra tutti quelli di Oscar Eleni), potrebbe pensare che si tratti di un fenomeno del basket, che ha trascinato l’Olimpia ai tempi targata Simmenthal verso vette mai toccate prima né mai più toccate dopo di lui. E invece no. Kenney era un lungo, utilizzato dalla coppia Rubini-Gamba (dove Gamba allenava e Rubini metteva il marchio) sia da ala alta che da centro, piuttosto grezzo tecnicamente, che rimase in Italia solo tre anni (‘solo’ rispetto ai tempi, adesso tre anni sarebbero un super-mega ciclo) e che vinse uno scudetto e due Coppe delle Coppe. Insomma, nella storia dell’Olimpia ci sono stati cinquanta giocatori che hanno vinto di più e cento che hanno giocato meglio a basket, però pochi che hanno dato tutto come lui e non solo per le mazzate distribuite e ricevute al Palalido (ora distrutto, con lavori fermi causa amianto) e in trasferta.  Kenney ha rappresentato bene il senso di appartenenza a una realtà sportiva, che non significa essere nati a venti metri dalla sede sociale (Gary Schull insegna) ma dare a chi ti guarda la sensazione di tenere a quello che fai. Poi c’è chi si chiede come mai l’appassionato vero preferisca Mason Rocca a Langford, ma chi non capisce non capirà mai. Per questo le polemiche sui ‘troppi’ stranieri partono da un presupposto sbagliato: il problema sono le squadre che cambiano ogni tre mesi e i giocatori che si sentono di passaggio, non i passaporti. Sia come sia, l’Olimpia ha in questa occasione dimostrato di rispettare la sua storia. E non lo diciamo da tifosi, anzi. E’ ancora vivo in noi il ricordo di un episodio risalente a quattro anni fa (già raccontato, questa è una cover), quando quel che rimane della Pallacanestro Milano (che anche quest’anno, fra fra parentesi, non è riuscita ad essere promossa in serie C nonostante un grande budget) ritenne non opportuno ritirare la maglia numero 11 di Chuck Jura prima di una partita di stagione regolare “Per non turbare la concentrazione della squadra”. Sette anni, i migliori della carriera, buttati con tutto il cuore in una squadraccia, ma comunque all’epoca in serie A, non erano valsi al grande Chuck l’onore di qualche applauso dei quattro parenti e amici dei giocatori sulle tribune del ‘Giordani’. Ma della spocchia delle minors italiane, non solo del basket, dove ancora nel 2013 gente sovrappeso pretende di essere pagata per giocare davanti a nessuno, parleremo in altri articoli. Venerdì sera applaudiremo Kenney.

Share this article