La destra siamo noi, i voti sono loro

18 Aprile 2015 di Stefano Olivari

Da una grande idea può nascere un libro interessante ma al di sotto delle immense potenzialità della materia: La destra siamo noi – Una controstoria italiana da Scelba a Salvini (editore Rizzoli, circa 400 paginefa parte di questa strana categoria. Diciamo strana perché le grandi idee sono poche e i libri che ne derivano sono quasi sempre capolavori… Quale sarebbe quindi la grande idea? Che Giampaolo Pansa abbia voluto tracciare la storia della destra italiana nel dopoguerra uscendo dallo schema MSI-neofascismo ed evitando anche tirate su un berlusconismo ancora impossibile da storicizzare, non fosse altro che perché non è finito. L’ottantenne grande giornalista, fra l’altro uno dei pochi ad avere scritto cose interessanti sul giornalismo italiano fin dai tempi di Carte false, ha voluto creare una specie di Hall of Fame di chi è stato un punto di riferimento per l’Italia di destra, senza magari avere fatto politica e in certi casi senza avere mai reso pubbliche le proprie opinioni. Da qui sono nati capitoli con scelte ortodosse (Scelba, Almirante, Fanfani, Montanelli) ed altre spiazzanti, nel senso migliore dell’espressione. Di questa seconda categoria il più riuscito è senza dubbio quello su Giorgio Ambrosoli, eroe borghese nel mirino (purtroppo non una metafora) di Sindona e dei suoi protettori politici: liberale di tendenza monarchica, l’avvocato milanese sarebbe stato il perfetto leader di una destra al tempo stesso con senso dello Stato e lontana dal culto del passato. Non è stato ammazzato per questo, ma il rimpianto (anche per chi non è di destra) rimane.

Cos’è quindi che non ha funzionato in questo libro, che comunque ci sentiamo di consigliare? Innanzitutto il tono. Pansa si è inventato un dialogo con un personaggio immaginario, sintesi di vari personaggi reali: un ex poliziotto novantenne, Morsi, con un passato da partigiano bianco e una carriera anche al Viminale, sempre vicina alle persone che sanno le cose. Un espediente che poteva funzionare, se Morsi non si fosse rivelato fin da subito una semplice spalla per il Pansa show fra momenti autocelebrativi, avanzi di suoi libri recenti (tutti quelli sulla guerra civile 1943-1945, che di fatto andò avanti fino alle elezioni politiche del 1948), un’insistenza fastidiosa su storie di sesso e considerazioni sull’attualità che in un libro del genere sono sprecate (e poi non si può parlare di Salvini saltando tutto Berlusconi). Il secondo difetto è che il libro propone un’idea di destra molto di sinistra, che mette insieme persone unite soltanto dal fatto di non pensarla secondo i dettami del partito egemone nella cultura italiana. Un difetto voluto, da parte di un giornalista che è stato considerato ‘democratico’ (fra Stampa, Corriere della Sera di Ottone e la vicedirezione nella Repubblica di Scalfari) fino a quando ha osato mettere in discussione alcuni dogmi resistenziali (primo fra tutti che i partigiani fossero quasi soltanto rossi: un’idiozia immane pensando a cattolici, azionisti e ai tantissimi ex militari che fecero quella scelta di campo), ma che all’atto pratico ha messo il Ciccio Franco del ‘Boia chi molla’ sullo stesso piano di Guareschi, o Salvini su quello di un grandissimo italiano come Edgardo Sogno.

Detto questo, il libro offre infiniti spunti di riflessione: primo fra tutti che l’Italia di destra ha quasi sempre fatto riferimento a leader politici o morali che non potevano dichiararsi di destra (non l’ha mai fatto nemmeno Berlusconi, del resto, preferendo l’incomprensibile definizione di ‘moderato’ che in teoria potrebbe essere applicata anche all’ala moderata dell’Isis) a parte quelli con una storia nel marginale MSI, pena l’ostracismo da parte dei media e di poteri forti dove oltretutto i personaggi di destra nel senso pieno dell’espressione non sono mai mancati. Da Eugenio Cefis a Cesare Romiti, nessuno di quelli che avrebbero potuto ha mai voluto metterci davvero la faccia. L’idea forte del libro non è che la sinistra politica e quella radical chic non abbiano mai riconosciuto all’avversario il diritto di esistere (anche i comunisti più stupidi avranno notato che il leader della destra è sempre, inevitabilmente e per definizione, impresentabile in società o in ‘Europa’: situazione che va contro ogni legge statistica), comportamento che in termini di marketing politico ci sta, ma che molti elettori di destra si siano sempre vergognati delle proprie idee ritenendo accettabile per decenni il dominio incontrastato di partiti di sinistra e del supermarket DC, scegliendo quelli meno lontani: il Bisaglia della situazione, per dire, oggi anche un Renzi più amato da quella parte che dalla (teorica) sua.

E quindi? Libro interessante e per certi versi incompiuto, che contiene embrioni di libri futuri. In particolare Pansa dovrebbe secondo noi scriverne uno su Aldo Moro e la pista palestinese per la strage di Bologna: se la Seconda Guerra Mondiale ha ormai pochi tabù, quella dell’Italia moderna deve ancora essere esplorata da scrittori fuori da logiche di appartenenza. Gente del valore di Pansa, ormai diventato l’Anticristo per tutti quelli che si apparecchiano un ruolo nel circo del 25 aprile.

Share this article