La costruzione di Drazen Petrovic

13 Giugno 2013 di Stefano Olivari

Vent’anni fa, esattamente il 7 giugno, ci lasciava il più importante giocatore europeo di sempre, uno dei pochi che non avrebbe avuto bisogno di morire giovane (29) per entrare nella leggenda. Drazen Petrovic era un’icona anche da vivo, uno di quei personaggi per i quali l’inevitabile accostamento al termine ‘inspiring’ non è un abuso. Difficile dire se sia stato anche il più forte europeo di sempre, oltre che il più importante: dominatore a livello FIBA, con il memorabile Cibona di metà anni Ottanta (due Coppe Campioni e tanto altro, agli albori del tiro da tre punti), la Jugoslavia pre-sfascio e la Croazia seconda solo al Dream Team a Barcellona, nella NBA Petrovic (ma anche Divac: co-protagonista del commovente ma anche un po’ tarocco, perché i due non erano amiconi, documentario della ESPN Once Brothers) ha nel 1989 aperto una strada. Soffrì ai Blazers, subendo un poco velato razzismo nero versus bianco ma raggiungendo comunque le Finals (perse con i Bad Boys di Detroit), ed esplose a livello individuale nei New Jersey Nets: 4 anni nella lega, conquistando credibilità per conto di tutti i giocatori europei. Poi è chiaro che una squadra al titolo ce l’ha trascinata di peso Dirk Nowitzki nel 2011 e che nel complesso un Tony Parker e verso fine carriera anche lo stesso Divac hanno guadagnato un rispetto almeno pari al suo. L’unicità di Petrovic è che forse solo Sabonis e in parte Toni Kukoc sono riusciti ad essere icone della pallacanestro mondiale con la sola attività europea, pur avendo avuto sia il lituano che il croato una ottima vita NBA. L’aspetto dimenticato di Drazen Petrovic è che nonostante lo stile di gioco iper-offensivo era un giocatore molto costruito (simile a Pete Maravich solo nella maniacalità dell’allenamento, non certo nel genio selvaggio del figlio di Press) e per certi versi meccanico, come dimostrava la sua pulizia tecnica e come ha ricordato Sergio Tavcar nel suo imperdibile ‘La Jugoslavia, il basket e un telecronista’, citando un aneddoto proprio del 1993. Poco prima della sua morte, amichevole a Trieste fra Croazia e Italia. Petrovic sbaglia tiri che di solito mette con percentuali clamorose, ma non si scoraggia e continua a tirare. E a sbagliare. Durante un time out invece di ascoltare l’allenatore va sotto il canestro e lo osserva con attenzione. “Arbitro, il ferro è spostato di qualche centimetro. Va messo a posto!”. Viene fatta la misurazione ed in effetti il ferro non è ben posizionato. L’aneddoto si conclude con Drazen che nel canestro ‘corretto’ inizia a segnare senza fermarsi più. Ecco, chi è cresciuto ammirando il passo e tiro invece che una schiacciata windmill (magari dopo un’infrazione di passi) è stato fratello di Petrovic magari non quanto l’attuale c.t. bosniaco Aza ma di sicuro più di Divac.

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