La colpa di Zanardi

21 Giugno 2020 di Stefano Olivari

Alex Zanardi ha la colpa dell’incidente che lo sta tenendo in queste ore fra la vita e la morte, nel mondo mediatico del ‘santo subito’ bisogna ricordarlo visto che le vite rovinate sono anche quelle dei suoi familiari e quella del camionista che se lo è visto spuntare davanti sulla statale 146 nel comune di Pienza dopo che il pilota bolognese aveva perso il controllo della sua handbike, per cause tuttora da accertare.

Il tutto in una insulsa gara che non era una gara (fino al primo di agosto non si può) e che quindi si svolgeva con gli stessi rischi delle strade normali, che i ciclisti ben conoscono, anche quando governano perfettamente il mezzo. Ma probabilmente anche se fosse stata una gara, con chiusura del traffico automobilistico in un senso di marcia, Zanardi cambiando corsia sarebbe comunque andato a sbattere.

Veniamo al punto: Zanardi ha voluto vivere e morire da uomo vivo, non da handicappato che si autocommisera, questo lo rende agli occhi di tutti un campione senza il bisogno di citare albi d’oro di corse di nessun valore, se non per chi vuole sentirsi più buono a costo zero. Il rischio di morire fa parte delle emozioni di cui i piloti, ma in una certa misura tutti gli esseri umani (ognuno di noi guardi nel proprio passato e ricordi le tante stupidaggini fatte), hanno bisogno per vivere. Però…

C’è un però e lo diciamo in maniera diretta: questo superomismo alla Zanardi non è un grande modello, come se la vita avesse valore solo mettendola in pericolo e sfidandola. Al di là del fatto che la vera sfida sarebbe trovarle un senso, non battere in una garetta altri compagni di sventura. Strano che i super-religiosi (la vita è sacra) e i super-laici (la vita è una sola) non lo capiscano. Forse per accettare le nostre disgrazie ci vuole una terza via, che però personalmente non conosciamo. Di sicuro non è quella di finire sotto un camion.

Share this article