La chiusura di Stadio e i lettori di una volta

8 Aprile 2017 di Stefano Olivari

La chiusura di Stadio, con trasferimento a Roma della redazione di Bologna, è purtroppo una non notizia. Nel senso che si tratterà di una chiusura formale, a molti anni di quella sostanziale, per raggruppare le forze in vista del lancio del Corriere dello Sport in formato tabloid dal prossimo primo luglio. Stadio è (era) un quotidiano sportivo a cui la storia non manca di certo, visto che era in edicola (all’inizio come settimanale) da pochi giorni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e che nei suoi momenti migliori ha venduto più di quanto oggi vendano Corriere dello Sport e Tuttosport messi insieme (entrambi dello stesso editore, Amodei) e poco meno di quanto valga in edicola l’attuale Gazzetta dello Sport. Siccome detestiamo il bollettino della sfiga e il confronto fra epoche diverse, che peraltro abbiamo appena fatto, proviamo a fare altre considerazioni.

1) Esiste la presunzione che i giornali, non soltanto quelli sportivi, debbano essere fatti per i tifosi. In questa logica chi è legato ai tifosi del Bologna o della Fiorentina (ovviamente semplifichiamo) vale meno di chi baserebbe le sue vendite su quelli di Juventus, Inter, Milan, Roma o Napoli. Inutile quindi, secondo questo ragionamento, tenere in vita anche solo come marchio una realtà che avrebbe comunque poco potenziale. 2) Se i tifosi valgono tanto, non si capisce come mai la Gazzetta non venda un milione di copie al giorno, con tanta gente avida di novità sul mercato dell’Inter sulla data del closing del Milan, o Tuttosport 800.000 con la Juventus che sta vincendo il sesto scudetto di fila. 3) Il mitico web funziona, come modello finanziario, soltanto quando è legato a media tradizionali. Ha tolto ai giornali i lettori di serie B, quelli che scorrevano i titoli giusto per avere un’informazione di base, ma quelli di serie A sono ancora vivi e potenzialmente sono di più che nella bella Italia di una volta, con più semi-analfabeti rispetto a quella di oggi.

4) I giornali sportivi sembrano rivolgersi proprio a quei semi-analfabeti che non li comprano più e non li comprerebbero nemmeno se fossero fatti ‘meglio’, che guardano tre cose sul web, ruttano e poi condividono. Nemmeno i più motivati riescono ad andare oltre i dieci minuti di lettura, a meno di non essere interessati a voci di mercato senza fondamento o alle statistiche sul numero di cross effettuati da Candreva fra il 17′ e il 26′ dei suoi primi tempi. 5) Contrariamente a quanto dice il luogo comune, il livello culturale medio dei giornalisti è migliorato. Possiamo anche rimpiangere le merendine di una volta e la nostra infanzia, anzi le rimpiangiamo di sicuro, ma per fortuna esistono le biblioteche e un’occhiata a caso a un giornale sportivo degli anni Ottanta, non di un secolo fa, potrebbe riservare delle sorprese.

Tutto questo forse non c’entra con la chiusura di Stadio, ma non ci rassegniamo a un mondo in cui tutti commentano notizie che sono prodotte dall’oggetto delle notizie stesse. A meno di non trasformarci in follower di 16.345 account diversi e fare i lettori di professione.

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