La chiarezza di Marco Solfrini

26 Marzo 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla Sierra Nevada dove siamo andati quasi di corsa per stringere la mano a Gary Snyder, l’uomo dell’isola della tartaruga, poeta di San Francisco, uno dei grandi della beat generation. Intrigante vedere questo uomo di 87 anni che preferisce, come noi, Ginsberg allo sciocco Kerouac. Voglia di vedere gente che medita, ma sa dire la verità come capirebbero tutti se andassero alla libreria City Light di Frisco ancora diretta dal novantottenne Ferlinghetti: sono tutti longevi quelli che hanno cercato felicità sulla strada, un vero castello incantato per chi era sperduto nel mondiale calcistico americano quando in troppi tifavano contro Sacchi. Serviva questo viaggio nella natura che rende ancora meravigliose le giornate di un genio per staccarci dai cortei di questa Italietta dove comandare sembra sempre meglio che fottere e allora ti allei anche con quelli che volevi in galera, con quelli che ti hanno dato del matto sfigato e incompetente. Storie nostre che ritroviamo, non è mai un caso, anche negli sport più popolari. Guardate cosa succede nel calcio dopo il cataclisma mondiali. Servirebbe gente come quei poeti hippy ed invece, se dici la verità, eccoti assalito da chi non vuol capire che il calcio è dei ricconi, ma lo sport si impara anche altrove e allora si ha il diritto di dire le cose come stanno nella speranza che il Fabbricini commissario alla FIGC non prenda troppe pallonate prima di liberarsi del granchio che gli sta stritolando l’alluce e non soltanto.

Ci sarebbe bisogno di verità anche nella palla al cesto in una giornata dove Romeo Sacchetti è rimasto a guardare, ma dove ha potuto vedere che molti degli azzurri di oggi stanno andando davvero forte: da Ale Gentile a Polonara, da Pascolo al Brian Sacchetti, dal Luca Vitali che, come tanti, pensiamo, si domanda perché Brescia abbia lasciato andare il leone Christian Burns, anche lui arruolato nell’italico sogno di andare ai Mondiali. Misteri degli uomini e dei sentimenti. Certo deve avere qualche difetto il Burns italianizzato, ma a Cantù non ne vedono tanti e chi lo vuole per l’anno prossimo, tipo Milano, o magari la Virtus Bologna, vede soltanto questo uomo da sbarco anche quando intorno scoppia di tutto, questo giocatore guardato sempre dal lato sbagliato e che ora viene promosso persino da quelli che sono talpe nella ricerca e nella scoperta dei giocatori. Certo Burns nel cuore della difesa degli uomini Armani avrebbe reso meno “divertente” questo campionato che deve a Pianigiani l’illusione del torneo equilibrato che fa squittire il piccolo esercito di telecronisti rubati a radio neppure tanto popolari. Adesso che siamo quasi alla fine tutti hanno scoperto che dal primo giorno c’era una padrona, mentre intorno parlavano, tanto per darsi un tono, le sfidanti.

Per Pianigiani il premio “Cunctator”, il grande temporeggiatore che ha il tempo per studiare ogni riforma tattica mentre altri si svenano, adesso che i nodi al pettine fanno piangere le avversarie dell’italico mercato, adesso che è solo al comando per restarci fino alla fine, tenendosi il fattore campo che al Forum è un privilegio, anche se non un vero vantaggio se non presenti squadre con un’anima, perché, da sempre, dominare doveva essere la regola: sono sempre stati fra i più ricchi, ai tempi di Bogoncelli arrivava il meglio dall’Italia e non soltanto per avere più tute e palloni. Divertire è un privilegio delle squadre fatte bene. Con un’anima. Ma qui se stuzzichi chi ha ereditato la Sistina affrescata e pensa di averla abbellita con qualche sofà in pelle umana, poi si prendono vendette meschine. Bravi loro. Comandano. Se uno li disturba guai. Un modo come un altro per invitarti a cercare un posto in Sierra Nevada, tanto come età siamo vicini a Snyder.

Dunque eccoci a Simone Pianigiani in arte Dondina, ma anche Quinto Fabio Massimo Verrucoso, perché come il console romano che dominava 200 anni prima di Cristo, ha saputo aspettare il momento per le vendette, amministrando alla grande la sconfitta di coppa Italia, tipo quella dei romani contro Annibale al Trasimeno, il flop europeo, cambiati i soggetti la somma è stata più meno quelle dei predecessori. Adesso lo stivaletto malese del campionato italiano è davvero suo. Il campionato, fra viaggi, coppe, infortuni, è un grande inganno, ma poi ai playoff non basterà la partita della vita per far togliere gli occhiali scuri ai cavalieri erranti di re Giorgio. Era scritto. Va riscritto. Troppo presto per dare il titolo a chi lo aveva già vinto mettendo in panchina gente che sarebbe stata titolare ovunque, sì anche i tedofori italiani del gruppo, gente che porta la fiaccola per pochi minuti, gente che si brucia e si dispera, ma non tradisce quasi mai se ha l’occasione come ha dimostrato tante volte Cinciarini, come ha fatto vedere Dada Pascolo ad Avellino dove invece sono davvero in pochi a credere che la fanteria di Sacripanti si salverà dall’artiglieria della Milano che ritrovando la voglia di bere, ne siamo sicuri, riuscirà comunque a sbrodolarsi per sicumera.

Campionato chiuso? Be’, non esageriamo, ci sono da scegliere le altre finaliste oltre a Milano, Venezia, Brescia, Avellino e Virtus Bologna. Noi metteremmo nel gruppo anche Cantù se fossimo sicuri che tutto è sicuro laggiù in Brianza dove le connessioni col proprietario in esilio danno angoscia. Certo Sassari ha il diritto di sentirsi fra le elette, ma sottovalutare chi sta dietro sarebbe rischioso e la stessa cosa deve fare Trento anche siamo abituati alle rimonte di Buscaglia, anche adesso che gli manca il fosforo. Certo che Torino ha i mezzi per chiedere almeno attenzione, ma scoprire oggi, come fa il simpatico Galbiati, che il gruppo è tormentato dalla troppa frenesia è un po’ come chiudere applausi per l’acqua calda scoperta nel bagno di servizio. Varese, più di Reggio Emilia spremuta in coppa pur avendo una squadra ridotta all’osso, sembra avere la forza del rinoceronte per sconvolgere accampamenti, ma recuperare in 7 partite non è facile, vero che Reggio Emilia ha due partite in meno. Chiuso anche il discorso retrocessione? Be’ ridotto a due sole squadre. Pesaro non c’è, Capo d’Orlando sembra svanita. Peccato. Pagelle dalla Sierra, cantando insieme a galline e tacchini del poeta in meditazione.

10 e lode Ad Enrico GILARDI per come ha saputo ricordare Marco SOLFRINI, un eccellente giocatore scoperto e valorizzato da Sales, da Gamba, da Bianchini. Gommolo era davvero semplicità, chiarezza come dice il suo ex compagno, era un tipo speciale, come non se ne trovavano tanti neppure ai tempi in cui vincevamo tanto, lui è stato argento olimpico, come certo non trovi oggi anche perché dovresti prima abbattere il muro protettivo di chi porta la borsa a ragazzi che si credono d’oro e, in troppi casi, sono invece soltanto placcati e placcabili.

10 A Vincenzo ESPOSITO prima di tutto per aver battuto i campioni d’Italia in un momento di massima all’erta per la sua Pistoia, ma per le parole che sa trovare dopo un successo o una sconfitta, ultimo dei grandi poeti illusi che ai giocatori restino nel cuore e nella testa momenti come quelli vissuti contro la Reyer.

9 A Charles THOMAS pivot sottostimato della sottovalutata Cantù del primo giorno. Lui ha messo la freccia per la vittoria contro una Torino che sembrava risanata, anche se alla fine si è buttata la palla sui piedi.

8 Alla VARESE pronta alle grandi settimane dei trofei giovanili pasquali, cominciando dal Garbosi per finire ai sogni di Paolo Vittori e del suo libro incompiuto, per il raid sul campo di Sassari. Hanno battuto tutte quelle che stanno davanti in classifica, sono squadra, sono in progresso costante e poi dicono che l’allenatore non conta.

7 A Dada PASCOLO che a Milano non ha conosciuto la gioia dell’evoluzione, ma che sa dove andare nelle affollate strade cittadine, nei tortuosi sentieri dove devono camminare gli italiani della corazzata Armani che soltanto in Europa diventa una giunca.

6 A suor Dolores Schmidt, novantottenne mistica e ‘tattica’ degli universitari di Loyola-Chicago arrivati alle finali universitarie partendo da molto lontano. Come si vede non conta quanti anni hai, ma quanto sai, e, soprattutto, quanto sai trasmettere agli altri. Se per caso le telefonano dall’Italia stacchi subito il collegamento.

5 A Mike D’ANTONI che ha deciso di far morire d’invidia tutti quelli che in Italia sono convinti di essere allenatori migliori di lui. Tanto Houston continua a fare record e adesso con 60 vittorie è davvero davanti a tutti. Certo i playoff saranno un film diverso, intanto a noi piace questo documentario di Arsenio anche in un basket dove non capisci mai la differenza fra realtà e finzione (chi lo racconta ci mette del suo per non far capire questa non sottile differenza), come ha detto indignato quell’allenatore che vedeva i giocatori sghignazzare mentre erano sotto di 30, come sostengono quelli confusi dai proprietari che per pescare meglio fra i nuovi talenti ordinano alle loro squadre di perdere.

4 Al povero LEKA, allenatore di Pesaro, perché se vede troppa anarchia in una squadra guidata da lui allora deve farsi una domanda e darsi anche un brutta risposta.

3 A Tyler CAIN centro di Varese perché lo abbiamo visto giocare male poche volte in questa stagione, perché prende più legnate e rimbalzi di tutti, perché si batte sempre, eppure sembra un giocatore come tanti. Si tinga i capelli, si faccia tanti tatuaggi. Noi ne vorremmo dodici per squadra di uomini così e, forse, anche la gente che spesso ricorda questi combattenti più dei presunti artisti frustrati.

2 Alle REDAZIONI distratte che annunciando il trofeo delle Regioni si dimenticano (?) di aggiungere che è anche una manifestazione dedicata a Cesare Rubini, che nella storia di questo basket ha fatto tante cose importanti e forse meriterebbe di essere ricordato in maniera più conceta.

1 A Brian SACCHETTI se dopo la stagione che sta facendo non prenderà a schiaffi chi insiste a dire che è in Nazionale soltanto perché figlio di Romeo. Lui, come Micov, il professore che aiuta Pianigiani a vedere il rosa della professione, ha forse una marcia in meno per la grandissima ribalta, ma averne sul campo di giocatori come lui e il serbo che usano prima la testa, alla Bodiroga, più dei muscoli.

0 A VENEZIA ed AVELLINO che fanno di tutto per dimostrare che la Mitropa Fiba, coppetta di quarta categoria, ruba soltanto energie e non aggiunge davvero valore alla stagione di queste due squadre che all’origine dovevano spaventare Milano che almeno finge di perdere in Europa solo per colpa del bayon.

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