Economia
La caduta di un impero
Andrea Ferrari 24/03/2025

Ci sono poche vicende in grado di simboleggiare il declino italiano meglio della fine del gruppo Ferruzzi-Montedison. Carlo Sama, ex manager del gruppo nonchè amico e poi cognato di Raul Gardini, racconta la sua versione dei fatti nel libro La caduta di un impero, uscito qualche mese fa per Rizzoli. Opera che si legge veloce e in cui l’aggressione fisica subita da Sama nella magione di famiglia in Argentina ad opera di un Gardini frustrato dalle sconfitte e la definizione di “coppia aperta” riguardante Idina Ferruzzi e Gardini stesso sono tra i pochi retroscena privati raccontati. Il focus del libro è, invece, il racconto delle tappe che hanno portato il secondo gruppo industriale italiano ad essere smembrato da Mediobanca dopo il ciclone del processo per la maxitangente Enimont, momento clou della stagione di Mani Pulite.
Un gruppo che aveva leadership mondiali in diversi settori e che finì nelle mani di Mediobanca che poi ne ha venduto, anzi svenduto, i pezzi pregiati, come, ad esempio Edison ai francesi di EDF. La banca allora guidata da Enrico Cuccia salvò invece la Fiat, anch’essa con un grosso indebitamento e con l’aggravante di essere in piena crisi industriale, al contrario di alcune società gioiello della galassia Montedison che continuavano a sfornare profitti nell’ordine delle migliaia di miliardi di lire. Nel cosiddetto “salotto buono”, che non ha avuto pietà dei parvenu di Ravenna, aveva un ruolo da protagonista Cesare Romiti, nemico giurato anche di Carlo De Benedetti che l’ha più volte bollato come un intrallazzatore con scarse capacità manageriali (e siamo sicuri che Marchionne non avrebbe avuto nulla da ridire al riguardo).
Oltre a volere ristabilire alcune verità storiche, il libro ha anche il pregio di suscitare un paio di riflessioni sulle conseguenze del crollo dell’impero fondato da Serafino Ferruzzi. La prima è che un tale colosso nella chimica e nell’agro-industria sarebbe con molta probabilità ancora oggi ai vertici a livello globale, al contrario di certi incumbent dell’automotive come il fu gruppo Fiat, perennemente spiazzati da nuove tecnologie e da competitor più innovativi e capaci. La nostra convinzione è che l’Italia si sarebbe impoverita meno con una Ferruzzi-Montedison ancora forte. Avere qualche “campione nazionale” sulla falsariga francese ci avrebbe reso meno dura la globalizzazione e forse anche l’orrenda retorica sulle micro imprese e sul piccolo mondo antico da preservare a tutti i costi avrebbe attecchito molto meno.
La seconda riflessione è che così come Gardini aveva un’ambizione sfrenata, gli imprenditori italiani attuali ne sembrano quasi del tutto sprovvisti. Un trend evidente è che non appena raggiungono un buon successo è facile che vendano. Soprattutto alcuni mitologici startupper che, al di là di qualche birignao da mental coach di Serie B, si son ben guardati dal provare a far diventare le loro realtà dei top player globali. Sarebbe interessante indagarne i motivi: una chiave di lettura potrebbe essere che la disfunzionalità dello Stato Italiano abbia reso gli imprenditori dei pessimisti a prescindere essendo influenzati, volenti o nolenti, dallo stato tragico in cui versano giustizia e burocrazia, elementi chiave per chi fa impresa.
