La bresaola di Gianni Agnelli

12 Marzo 2021 di Stefano Olivari

Il centenario della nascita di Gianni Agnelli è stato stra-celebrato anche in chiave calcistica, con esibizioni di piaggeria nei confronti di un morto che avrebbero molto divertito il cinico Avvocato, per decenni autentica icona dei fancazzisti: fino ai 45 anni non lavorò mai e nemmeno dopo l’esonero del professor Valletta si sarebbe consumato, andando ad un passo dal vendere tutto e scappare prima che Romiti e soprattutto Ghidella salvassero la FIAT.

Per quanto riguarda il calcio proponiamo questa domanda: perché la sua Juventus, che in Italia aveva un potere paragonabile a quello della Juventus di oggi (e con in più una FIAT ben diversa alle spalle), era rispettata, che non vuol dire amata, anche dalla maggior parte dei non juventini? Sorvolando sul paragone fra Bonucci e Scirea, non è che Szczesny sia più antipatico di Zoff, Cristiano Ronaldo di Bettega, Dybala di Platini, Pirlo di Trapattoni, eccetera. Poi il passato non va mitizzato, perché ci sono stati anni in cui la Nazionale di Bearzot, composta in larga parte da juventini, poteva giocare soltanto a Torino per non essere fischiata.

Uscendo dal calcio e andando sull’economia, utilizziamo la celeberrima scena finale di Yuppies, con l’arrivo in elicottero di un presunto Avvocato, per descrivere il rapporto fra Gianni Agnelli e l’Italia. Mentre Agnelli ciulava, e neppure poco, la bresaola l’abbiamo sempre pagata noi e ci sentivamo quasi onorati di farlo, protetti (si fa per dire) dalle lamiere della nostra Uno 45S.

Detto questo, a noi di Gianni Agnelli, artista della sprezzatura, piacevano due cose: il fatto di non essersi imboscato durante la guerra, quando avrebbe potuto farlo con facilità, e l’amore per i cani. Non solo gli husky, i suoi preferiti, ma anche altri a cui a volte dava da mangiare personalmente con la forchetta. Insomma, la piaggeria è dentro di noi: non riusciamo a farci stare antipatico Agnelli, per lo meno l’Agnelli vero (quello verissimo era suo nonno).

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