Jimmy Connors mi ha salvato la vita, quando i colpi non si possono insegnare

20 Marzo 2016 di Stefano Olivari

Fra i numeri uno della storia del tennis Jimmy Connors è stato quello che ha avuto meno buoni colpi da manuale del tennis nel suo bagaglio: alla straordinaria risposta al servizio e all’eccellente rovescio univa un servizio accettabile, un gioco di volo appena discreto e un diritto discontinuo e poco potente, che aveva bisogno di appoggiarsi al gioco dell’avversario per essere efficace visto il fisico non proprio superlativo. Il resto era intelligenza, dedizione al gioco e cattiveria agonistica inimmaginabile, che traeva origine da un’adolescenza da outsider, con una storia familiare strana e una madre, la mitica Gloria, che era stata ad un passo dall’essere davvero forte e che lo caricava di aspettative che avrebbero schiacciato figli con un altro carattere. La particolarità di Connors è quella di essere stato il miglior Connors in momenti storici diversi, con avversari diversi, impresa mai riuscita nemmeno a chi ha vinto più di lui o più di lui ha entusiasmato gli esteti. Quando per Borg si è spenta la luce, la luce non si è più riaccesa. Quando per McEnroe è iniziato il declino, non è più riuscito a vincere un torneo dello Slam. Per questo l’aspetto ben colto dai suoi fan è stata la sensazione che lui ‘tenesse’ davvero a ogni punto, che per lui il tennis fosse una questione di vita o di morte e non un semplice sport adatto a persone con una buona educazione. Con i soldi a misurare calvinisticamente il tutto, soldi sempre giustamente rispettati.

9788860020055 jimmy connors mi ha salvato la vitaUn campione così particolare meritava una biografia particolare e fra le tante che sono state scritte su di lui (anche da lui stesso, come l’ultima, ‘Outsider’, con tanto di rivelazioni un po’ squallide sull’aborto della Evert) la più meritevole ci sembra Jimmy Connors mi ha salvato la vita. Una doppia biografia, di Joel Drucker, uscita in Italia nel 2006 per Effepi Libri. Drucker, classe 1960, ha l’età per avere respirato l’era di Connors (classe 1952) fin dal suo inizio e questa biografia è in realtà la storia di una biografia mancata, quella che Jimbo aveva promesso in esclusiva a Drucker (professionista delle pubbliche relazioni, ma anche collaboratore di varie riviste di tennis) prima di cambiare idea per vari motivi: paura di raccontarsi ad una persona che lo conosceva troppo bene, testa sempre sul presente, disprezzo per l’aura da intellettuali incompresi di molti colleghi, il percepirsi come uomo di azione e non di pensiero. Drucker, ragazzo californiano con buona una carriera tennistica fino al livello high school, pur venendo da tutt’altro ambiente (media borghesia ebrea, un futuro lavoro da professionista e lo sport solo come passione), è convinto di comprendere Connors in profondità e di sapere da dove nasca quel fuoco acceso a Belleville, Illinois, che mai si è spento nemmeno nella più insulsa delle esibizioni. La California tennistica di Connors inizia invece a sedici anni, quando l’ingombrante madre ha l’intelligenza di mandarlo a lezione dal grande Pancho Segura, e più volte si o incrocia con quella dell’autore.

La carriera di Connors viene quindi raccontata nel dettaglio, secondo noi anche troppo: il racconto di certe partite, rivestendo ogni scambio di psicologismi davvero non alla Connors, è a volte noioso per chi quelle partite le ha viste in diretta a suo tempo. Ma in ogni caso è interessante cercare un particolare nuovo o una chiave di lettura inedita, senza fermarsi all’aspetto wikipedistico della carriera che per i campioni degli anni Settanta (non parliamo di quelli dei decenni precdenti) è davvero riduttivo. Un caos organizzativo totale, con l’importanza dei tornei (anche degli Slam, in particolare l’Australian Open) spesso molto diversa da quella di oggi. Così si può pensare che Connors abbia vinto ‘soltanto’ otto tornei dello Slam, quando in Australia è andato soltanto due volte (una vittoria e una finale) in oltre 25 anni di carriera e nella peraltro poco frequentata Parigi (dove comunque è andato quattro volte in semifinale) la terra non era nemmeno paragonabile a quella di oggi come lentezza. Ma il cuore della biografia è il rapporto unico che si crea fra noi (cioè Drucker) e il fuoriclasse sportivo di riferimento: uomini poco più vecchi di noi, nei quali cerchiamo risposte alle piccole miserie della nostra esistenza. E le migliori risposte, in senso non soltanto metaforico, erano quelle di Connors. Chi si sentiva e si sente counterpuncher lo amava e lo ama, magari ricordando soltanto la fase della carriera del Connors ‘condiviso’, quando i maleducati erano diventati altri.  Di certo i suoi migliori colpi non possono essere insegnati da un maestro o da un motivatore, o li hai o non li hai.

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