Jersey paradiso fiscale?

La contesa tra Gran Bretagna e Francia riporta i riflettori su un'isola conosciuta soltanto per le sue opportunità finanziarie...

6 Maggio 2021 di Stefano Olivari

L’isola di Jersey è un paradiso fiscale? I muscoli mostrati da Gran Bretagna e Francia per via del blocco marittimo minacciato dai pescatori francesi (la cara vecchia cartina geografica spiega il perché) stanno facendo parlare molto di questo stato situato nel Canale della Manica formalmente indipendente ma dal 1259 sotto la giurisdizione del Re d’Inghilterra e quindi poi della Corona Britannica. Uno stato di solito citato come uno dei centri mondiali dell’evasione e soprattutto dell’elusione (cioè l’evasione pagando buoni commercialisti) fiscale. Sarà davvero così?

Abbiamo chiesto agli esperti, cosa che noi non siamo, ricevendo una risposta collettiva che potremmo sintetizzare in questo modo: Jersey è sì considerato un paradiso fiscale, ma non è vero che le imposte non esistano ed anzi per molte situazioni sono superiori a quelle di stati presunti ‘perbene’ come Irlanda e Lussemburgo. Partiamo dall’equivalente di Jersey della nostra IRPEF: è il 20%, nemmeno poco se si considerano i notevolissimi requisiti minimi reddituali e patrimoniali per avere lì la residenza.

Per quanto riguarda le società, ci sono varie differenze: le finanziarie pagano il 10% sugli utili, le immobiliari il 20, tanti altri settori hanno una fiscalità agevolata che sfiora lo zero ma non vengono in mente tante aziende di altri settori che possano avere la loro sede a Jersey. Chiaramente il malloppo vero è nei trust che da lì vengono gestiti, ma allo stato attuale l’isola si è uniformata agli standard dell’OCSE e del resto non è nemmeno nella black list dell’Unione Europea. Certo la ‘ndrangheta non deposita i suoi veri utili in un conto nominativo alla Banca Popolare di Locri, ma volendo le indagini si possono fare anche a Jersey. Che come livello di segretezza, uscendo dal discorso fiscale, viene dietro ad alcuni stati degli Stati Uniti e alla Svizzera…

In Europa c’è molto di peggio: facile e abusato l’esempio dell’Olanda, che tassa gli utili delle società al massimo al 25%, ma che con la cosiddetta taxation exemption (praticamente le holding non pagano tasse su dividendi delle partecipate) fa concorrenza sleale alla povera Italia della situazione. Sleale? Se ne può discutere. Evidentemente i frugali olandesi hanno meno mantenuti di Stato e i conti gli tornano. E poi Irlanda, Lussemburgo, l’insospettabile Polonia, eccetera. Conclusione? Il giornalista collettivo definisce paradiso fiscale tutti gli stati in cui si pagano poche tasse in proporzione al reddito prodotto, ma dovrebbe per correttezza anche definire inferno fiscale le situazioni opposte. Meglio il paradiso, così come idea. Invitiamo però i lettori ‘internazionali’ (suona un po’ come gli international players NBA) di Indiscreto a darci il loro parere, visto che noi non andiamo oltre Mendrisio.

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