Jerry Calà e la standing ovation per la Capannina
13 Maggio 2015
di Stefano Olivari

Lunedì scorso abbiamo assistito allo spettacolo-concerto di Jerry Calà al Teatro Nuovo di Milano sicuri di non incontrare l’elìte dei lettori di Indiscreto, che ancora non si è fatta una ragione della scomparsa di Theolonius Monk e Django Reinhardt. Noi però non solo lavoriamo por el pueblo, come il comandante Marcos (siamo quindi dichiaratamente sub-giornalisti), ma proprio lo siamo, el pueblo. E abbiamo apprezzato moltissimo questo show di quasi due ore, con il 64enne Calà supportato da una band che ha ben seguito le sue improvvisazioni con il pubblico e ospiti non del tutto a sorpresa come Gianluigi Paragone e Mara Maionchi.
A proposito di Capannina, il cui clima è stato ben descritto da Fabrizio Provera proprio su Indiscreto, durante lo spettacolo dietro a Jerry scorrevano foto e immagini tratte dai suoi film e quando è apparsa l’immagine del locale di Forte dei Marmi è scattata spontanea, senza artifici televisivi o richieste del protagonista, la standing ovation della sala. La scaletta del concerto è stata molto Sapore di mare, fra Gino Paoli, Jimmy Fontana (Il mondo si ascolta però nel Sapore di Mare 2, quello senza Calà ma con Ciavarro, di cui sta per uscire un’autobiografia), il Cocciante di Celeste Nostalgia che evoca in tutti noi Marina Suma con i capelli bagnati, Edoardo Vianello, eccetera, con una significativa presenza di Battisti, che ha trascinato sul palco un Paragone in ottima forma (come del resto Jerry, pur con il doping della camicia bianca fuori dai pantaloni). Eterogeneo il pubblico: sessantenni alla Dogui surgelati negli anni Ottanta e riproposti ai giorni nostri, signore ingioiellate, giovani cresciuti nel mito di una comicità ingenua ma anche scorrettissima (paragonabile oggi solo a Checco Zalone, come capacità di restituire lo spirito del tempo), coppie di trentenni in fuga dalla pallosità e dai sensi di colpa. Chiusura con il Calà-pensiero, omaggiato anche da Stefano Accorsi nella prima puntata di 1992, manifesto non tanto di una generazione quanto di un modo di essere: “Gli anni Ottanta sono uno stato d’animo. Mi sono rotto il cazzo di sentir parlare di problemi economici. Quello che deve tornare è la voglia di fare, di provarci, di fallire”. Non c’è quantitative easing che tenga, se non scatta la libidine.
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