Jasikevicius, eroe europeo

4 Agosto 2014 di Fabrizio Provera

Se la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi, allora Sarunas Jasikevicius, monarca del cesto, imperatore del parquet, ritiratosi nell’’Anno Domini 2014 a 38 anni, è il Von Clausewitz della palla a spicchi. E potremmo anche chiudere qui. Non prima, tuttavia, di chiedere licenza descrittoria –e decrittoria –ai due più grandi esegeti di Jasi, i due giornalisti – o simil tali –  che sino ad oggi hanno scritto le cose più vere, belle e intense su questo fulgido emblema dell’’orgoglio lituano: uno è Miky Pettene, e i lettori di Daily Basket lo conoscono bene. L’’altro è Simone Basso, che sverna da qualche parte nel cuneese, in alto, lontano, e che a Jasi ha dedicato il pezzo più bello mai scritto sino ad oggi, colto al volo da Indiscreto. Leggetelo, in fretta. Basket Magazine, a fine 2013, dedicò a Jasi ed al suo culto un pezzo a quattro mani, Pettene featuring Fabrizio Provera, Leggete anche questo, ne vale la pena.

Sarunas Jasikevicius, dunque. Varrebbe, ne è valsa, varrà sempre la pena che qualche ragazzino, palla a spicchi in mano, felpa per coprirsi dal freddo mentre tira da solo in un playground dalla retina bucherellata e malconcia, in ogni parte d’’Europa (almeno), legga la storia di questo Guerriero Triste del Baltico, associabile per molti tifosi ai culti pagani. Non a torto, del resto la Lituania fu tra le ultime Nazioni a convertirsi al Cristianesimo, nel XIV secolo dopo Cristo, perché a lungo sono rimasti in vita fervori pre-cristiani. Jasi è l’’eccezionalità in un fisico tutt’’altro che esplosivo, in apparenza ordinario. “Per questo, forse, l’’istinto induce subito ad ammirarlo. Le sue imprese sportive, quali che siano, acquistano sempre luce epica: perché l’’uomo normale giustifica con l’’eroismo, cioè con doti morali non sue, le superiori prodezze di chi gli appare simile”.

Giannibrerafucarlo, Principe della Zolla, su Fausto Coppi. Appunto. Amen. Coppi in azione non è più un uomo, del quale trascende sempre i limiti comuni. Coppi inarcato sul manubrio è un congegno superiore, una macchina di carne e ossa che stentiamo a riconoscerci simile. Allora persino i suoi capelli che il vento relativo scompiglia paiono esservi per un fine preciso: indicare la folle incontenibile vibrazione del moto. Sostitute Coppi con Jasi, e manubrio con palla da basket, e il gioco è fatto. Sarà fatto ancor meglio quando Federico Buffa, posto che non l’’abbia già fatto, per raccontare Jasi deciderà di volare al liceo di Quarryville, Pennsylvania, paesino di 1994 abitanti (censimento del 2000), dove il Guerriero Triste evoluì prima di andare nel Maryland, tornando in Europa nel 1998, con l’’onta di non essere stato neppure scelto al Draft. I dorati campi dell’a NBA li avrebbe poi saggiati, prima a Golden State (tappa esistenziale anche per Sarunas Marciulonis) quindi a Indiana, il luogo migliore per chi proviene dalla Nazione europea forse maggiormente devota alla pallacanestro nella sua forma più alta e drammatica: l’’Indiana del Baltico, la Lituania, poco più di 3 milioni d’abitanti, un talento cestistico con pochi eguali sparso dagli Dei del Basket, prima e dopo le catene opprimenti del giogo sovietico.

Meglio così, ci riferiamo all’’incolore parentesi statunitense: lontano distanze siderali dal luccichio di palazzetti dove il criterio di trasmissione delle partite spesso è il capriccio di magnati del dollaro che farebbero impallidire i più biechi parvenu nostrani; lontano, troppo lontano, dalla tracotante, esplosiva grandezza di un Iverson, casomai più affine al fosforo di uno Steve Nash, Sarunas Jasikevicius ha scritto le sue più belle pagine di carriera in Europa, servendo il rito – – guidandolo, è ovvio – ai piedi delle più grandi cattedrali del cesto continentali: Barcellona, Panathinaikos, soprattutto Maccabi, dove regala alla corte della sfinge, Shimon Mizrahi, una Golden Age di inizio Millennio senza eguali.

   Quanto al bagaglio tecnico, non c’’è nulla da aggiungere alla descrizione magistrale, ammirata eppur illuminante, di Simone Basso. “E Jasikevicius, bontà sua, riuscì nell’’impossibile: con lui il pick and roll, il bordone maledetto che caratterizza il basket postmoderno, smise di essere meccanico e ripetitivo. Il palleggio sincopato, lo sguardo dall’’altra parte e il pallone sinfonico al compagno: una fiondata, col polso spezzato, e un controllo del gesto con pochi rivali. Paragonabile, al di là dell’’Atlantico, ai sommi (Kidd, Nash, Paul, Deron Williams). Il sesto senso nella lettura dell’’adeguamento difensivo altrui, l’’anticipo sulle scelte degli avversari. Il migliore nel passarla direttamente dal palleggio, senza toccare la palla con l’’altra mano; un particolare, l’’ennesimo, che in Europa lo accomuna a Mike D’’Antoni. Il resto, a dispetto della difesa telepass, è di altissimo livello. Un jumper soffice, con il corpo leggermente in avanti. Palleggio, arresto e tiro pregevole, di una rapidità (e un’’efficacia) incredibili”. O forse sì, qualcosa resta da aggiungere: “La velocità dell’’acqua impietosa giunge a sommuovere i massi. Questa è forza. La fulmineità del falco permette di colpire e dilaniare. Questo è tempismo. L’’abile guerriero ha quindi una forza formidabile, e agisce in tempi brevi. La forza è paragonabile a una balestra tesa e il tempismo al momento in cui si scocca il colpo”. Generale Sun Tzu, qualche millennio addietro, (pre)vedendo le gesta dei guerrieri alla Jasi.

Jasi e la Lituania, la Lituania e Jasi: la mente corre veloce al 2004, quando solo un’’imperiosa serata di kukkozia balistica tricolore, Basile, Poz e soci, impedì ai Baltici di contendere l’oro olimpico alla formazione col più alto tasso di QI cestistico dell’’epoca moderna, fuori dalla terra stretta tra Atlantico e Pacifico: l’’Argentina di Ginobili, Scola, Nocioni, Oberto, Pepe Sánchez. Sconfitto in semifinale dopo aver piegato gli Usa di Odom e compagni, segnando 12 punti in meno di tre minuti, il Guerriero Triste china il capo al cospetto di un volere superiore. Il destino dei Segnati, dei Prescelti. Mai sfidare l’ira degli Dei, assecondare invece le loro contorte e impercettibili traiettorie esistenziali. Che la Lituania non sia una Nazione cestistica ‘qualunque’, del resto, lo sappiamo tutti.

Lo sa il sommo Werther Pedrazzi, il quale ci ha raccontato un episodio che nessuno (o quasi) conosce: nel 1986 deve intervistare il Principe Arvydas Sabonis nel suo albergo di Milano, prima dell’’incontro con l’’allora leggendaria Olimpia di Dan Peterson. Ha con sé un’’interprete, sua moglie. Chiede a Sabonis se intenda parlare in russo o inglese. ””Due lingue insulse entrambe, io sono lituano. Comunque va bene l’’inglese””, rispose lui, che all’’epoca era il numero uno dello sport sovietico. Poi ci si chiede perché l’’URSS implose.… Sabonis vede dalla finestra della stanza l’’auto di Werther, una fiammante Renault Fuego, e se ne innamora. Allora chiede di portarlo al Palalido, con la Fuego.… Peccato che quell’’auto facesse fatica, molta fatica, a contenere i 198 centimetri di Werther e i 220 di Sabonis. Il sommo poeta del basket e il più grande lituano della storia, rinchiusi come sardine in una Fuego.

   Ne sa qualcosa pure Jack McCallum, autore del bellissimo ‘Dream Team’, che raccontò quello che pochissimi ricordano. Cioè che la Lituania del 1992, quella del post URSS, non aveva neppure un ghello per mandare la nazionale di basket alle Olimpiadi di Barcellona. Nessun problema. Ci si mettono Sarunas (rieccolo…) Marciulonis, che devolve alla malconcia federazione parte del suo pingue stipendio ai Warriors (rieccoli…), e i… Grateful Dead. Sì, l’’epico gruppo della costa ovest, che – avvinto dall’’appello rivolto dai lituani, raccogliamo offerte per mandare i nostri Dei del cesto in Catalogna –  dà appuntamento a Marciulonis in un garage (è tutto vero), consegnandogli un assegno da 5.000 dollari ma soprattutto i diritti di commercializzare una maglietta verde e gialla (i colori dei Grateful, pure quelli della bandiera lituana) da vendere per finanziare la spedizione a cinque cerchi. Nessuno, o quasi, ricorda che a Barcellona la maglietta più venduta non fu quella del Dream Team, che molti di voi hanno (ce l’’ho pure io), ma quella ideata dai Grateful Dead.… Come nessuno, o quasi, ricorda il motivo dell’’assenza del Principe Sabonis dalla cerimonia di premiazione dopo la finale per il terzo posto: Arvydas era steso su una panca in spogliatoio, colpito e affondato dalla vodka, l’’unico avversario a cui questo Dio del Post Basso, 220 e rotti centimetri di grazia e bellezza, faceva molta fatica a tener testa. Nessun compagno lituano, quel giorno, riuscì a trascinare i 220 e rotti centimetri del Principe, dallo spogliatoio al campo.

   E allora leggi e capisci, il culto di Jasi. Persino dello Jasi decadente, quello del corpo incapace di rispondere sino in fondo ai fremiti cerebrali di una delle più eccelsi menti a servizio del cesto. Ce lo ricordiamo ancora, a fine ottobre, steso da un sontuoso Nick Melli e dall’’EA7, in Eurolega, quando il suo Zalgiris cede al cospetto di Milano, dopo che il leggendario Zalgiris era stato spogliato dei forzieri e costretto a una svolta autarchica, che l’’aveva privato di molti, troppi campioni. 20 minuti sul parquet del Forum, quella sera di giovedì per Jasi; 10 punti e 4 assistenze, 6 su 6 dalla lunetta, un potenziale, siderale e luccicante assist – degno dei vecchi tempi- che Javtokas non fece neppure in tempo a veder scoccare, tant’’era onusto di talento. Un Von Karajan che in luogo della bacchetta reggeva il pallone, un allenatore in campo che rendeva superflui ruolo e funzione del primo allenatore. E infatti non ci stupisce il passaggio di Jasi al ruolo di assistant coach. Vedremo solo quanto reggerà, da numero due, specie considerando i tratti distintivi – e spigolosi –della sua leggendaria problematicità caratteriale. Che però solo gli stolti, e i Senzabrera, non hanno mai capito. Perché bastava leggere il Maestro, e avrebbero capito tutto. Specie donde veniva, cotanta (simulata) tracotanza: “Spiriti meschini hanno talora fraintese le sue prodezze, attribuendole al caso. Altri hanno ignorato la virile bellezza dell’atleta, rifugiandosi nel molle decadentismo degli esteti”. So long per te, Jasi. Firmato: tutti i cultori del vero basket.

(pubblicato su www.dailybasket.it il 30 luglio)

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