Italia solo nostra

23 Novembre 2007 di Stefano Olivari

1. Dicono che il prossimo Giro d’Italia metterà in programma più tappe a cronometro: la prima a squadre, altre tre individuali. Però si conteranno neanche novanta chilometri di corsa contro il tempo, in totale. Dicono che ci sarà ampio spazio per i velocisti nelle prime due settimane. Solo dopo verranno alle strette gli scalatori (arrivi di Pampeago e Fedaia, passaggi su Presolana e Mortirolo). Dicono che almeno un paio di percorsi mossi saranno ricavati tra Abruzzo e Romagna. Dicono che il punto fermo di Zomegnan e Vegni rimarrà comunque l’allestimento di un gran finale, lanciato da un crescendo di piccoli motivi di curiosità. Dicono che agli Arcimboldi, sabato 1 dicembre, andrà in scena una commedia all’arcitaliana. Dicono che la composizione del campo partenti rifletterà la politica dell’autarchia, sposata per causa di forza maggiore (la guerra con l’Uci). Dicono che Cunego e i fratelli Schleck non prenderanno altri impegni prima del 5 luglio 2008, partenza del Tour de France. Dicono.
2. Tutto previsto. La Sanremo il 22 marzo. La Roubaix il 13 aprile. Freccia e Liegi il 23 e il 27. Il Giro dal 10 maggio al 1 giugno. Il Tour dal 5 al 27 luglio. La Vuelta dal 30 agosto al 21 settembre. Infine Parigi-Tours e Lombardia, il 12 e il 18 ottobre. Eppure non c’è ancora un calendario ch’è uno, stilato della federazione internazionale, che si sia preso la briga di comprendere questi appuntamenti, per la cronaca i massimi eventi stagionali (esclusi Fiandre, Olimpiadi e Mondiali): non quello ProTour, e sta bene anche a Rcs, Aso e Unipublic. Non quello EuropeTour, male che vada agli stessi organizzatori. Ma neanche quello WorldTour, tanto invocato da McQuaid in persona e poi nemmeno richiamato sul sito ufficiale dell’Unione. Questi fantasmi da cantata dei giorni dispari continuano ad aggirarsi per il vecchio continente. Il governo del ciclismo non può più fingere di non vederli, non può pensare di averli scacciati tenendo chiusa la porta degli uffici di Aigle. Se è permesso: c’è qualcuno?
3. In Italia si sa, si parla e si scrive della Bicicletta d’oro, almeno quanto in Francia del Ballon d’or: poco o il giusto, sbagliato che sia considerare Vélo Magazine meno autorevole di France Football, e volendo malignare sul provincialismo delle redazioni al di qua delle Alpi. Là certo nazionalismo di fondo ha suggerito la compilazione di una pur modesta classifica riservata ai modestissimi corridori di casa, giudicati per quel niente che valgono (malgré Julien Absalon, ça va sans dire). Quest’anno sono quattro, gli italiani selezionati tra i dieci migliori ciclisti del circuito internazionale: accanto ai vari Boonen, Cancellara, Contador, Freire Gomez, O’Grady, Schumacher, ecco sfilare i nostri Ballan, Bennati, Bettini, Rebellin. Ma si notano di più le esclusioni, talune non proprio eleganti. Alessandro Petacchi è sfrecciato al Giro e in Spagna, e soprattutto sull’Avenue du Grammont. Denis Menchov si è comunque aggiudicato la sua seconda Vuelta. E l’ultimo vincitore della Liegi, pure maglia rosa uscente? Rien à faire. A Parigi si sa, si parla e si scrive persino di comportamenti etici e frequentazioni squalificanti.
4. Letto veramente “La corsa più pazza del mondo. Storie di ciclismo in Burkina Faso e Mali”, Ediciclo Editore. Marco Pastonesi ha battuto le piste rosse della più importante gara equatoriale, quella che si può permettere un’organizzazione da Tour de France. E per questo e peraltro, non se ne abbia a male la Rcs: ma l’inviato Gazzetta scrive di terre più fertili per l’epica giornalistica che non le strade bianche della Monte Paschi Eroica, tra Chianti e crete senesi, o lo sterrato del Colle delle Finestre, e tantomeno la carrareccia Passo Furcia-Plan de Corones. Nell’introduzione, l’autore si ricorda di Abdel-Khader Zaaf, ventisette vittorie tra ’48 e ’55. Nella prefazione, Gianni Mura cita Walter Marshall “Major” Taylor, pistard di fine ‘800. Tra le righe restanti si coglie la grande ironia “Del perché l’economia africana non è mai decollata”. Surreale. Fa tanto Maurizio Milani, questa raccolta di corrispondenze per la verdellea (già rosea). Spigolature esotiche da innamorato fisso della bicicletta.
5. Come se la Grande Boucle 1997, quella di Jan Ullrich già dopato stando a come l’ha messa Focus, dovesse un giorno essere riassegnata a tavolino: ma a chi, al secondo in classifica Richard Virenque o al terzo Marco Pantani? E via escludendo fino al settimo della graduatoria, l’ex direttore sportivo del rosso tedesco di Rostock, “Monsieur 60%” Bjarne Riis (Jef D’Hont). Vedi anche “Come se dopo le rivelazioni di Bjarne Riis, quel Tour 1996 dovesse essere davvero riassegnato: ma a chi poi, al secondo Jan Ullrich?”. Come se la fiera del ciclo di Milano perdesse la nuova Seigiorni, guadagnata invece dal salone delle moto. Succederà l’anno prossimo, tra settembre e novembre. Gli affari sono affari, e l’Eicma deve guardarsi da Colonia e dall’emergente Friedrichshafen. Lavorerà quindi all’allestimento di due manifestazioni diverse e separate. Alla pista italiana resta comunque un’ottima esposizione. Già, non siamo mica in Germania o in Svizzera: come se bastassero gli improbabili Mondiali di ciclismo indoor, per riempire un palazzetto di tifosi della ciclopalla. È capitato a Winterthur dieci giorni fa.

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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