Io amo, Franco Fasano si racconta

20 Gennaio 2022 di Paolo Morati

Quanti anni hai?”. Questa domanda, Franco Fasano, musicista, autore di tanti grandi successi italiani, ce la pone prima di iniziare l’intervista rilasciata a Indiscreto in occasione della pubblicazione del libro Io amo, scritto con Massimiliano Beneggi e pubblicato da D’Idee. La nostra risposta di cinquantenni sembra tranquillizzarlo: “Questo già aiuta, perché mi stanno chiamando in metà di mille, ma alcuni lo fanno più per curiosità mentre a 50 anni un po’ di cose le hai vissute direttamente anche tu…”. E in effetti di episodi legati alla musica dei suoi e nostri anni ne avremmo parecchi da raccontare, ma l’intervistato è giustamente lui, partendo dai motivi di un libro autobiografico che in genere viene scritto per raccontarsi e tirare le somme.



Come è nata l’idea di questo libro, che ha lo stesso titolo di una delle canzoni di cui sei stato autore, presentata da Fausto Leali a Sanremo nel 1987?
L’idea è nata un po’ per caso. Massimiliano Beneggi mi aveva contattato per parlare delle tante sigle per cartoni animati da me composte a partire dagli anni Novanta. Da quella chiacchierata è nata un’intervista che ha registrato un ottimo riscontro, per cui mi ha proposto di scrivere la mia storia in modo più approfondito. Ecco che siamo partiti, dapprima scambiandoci domande e risposte via email, poi condividendo alcuni appunti a voce, e infine abbiamo fatto una telefonata di svariate ore… Quando mi ha sottoposto la prima elaborazione ho subito apprezzato la parte storica, mentre ho deciso di lavorare direttamente su quella più personale. Già con in mano centinaia di pagine pronte abbiamo successivamente pensato che avremmo potuto pubblicare un vero e proprio libro, producendo una prima bozza presentata ad Alassio, là dove sono cresciuto. Da lì ho ricevuto tanti commenti ed è poi uscito Io amo, titolo che solo incidentalmente è uguale a quello di una mia canzone. In realtà è dedicato a mio padre, a come mi sono appassionato alla musica, con anche la volontà di far conoscere chi sta dietro le quinte. Al suo interno ci sono inoltre dei QR code per accedere a ulteriori contenuti, come foto e brani audio, e link a canzoni magari meno note, che non sono passate alla storia, nascoste negli album dei rispettivi interpreti, ma che ritengo fondamentali per raccontare me e il mio modo di scrivere.

Facciamo quindi un passo indietro. Quando hai capito la prima volta che la musica avrebbe fatto parte di questa vita e come hai mosso la prima volta le dita sul pianoforte?
Prima di tutto devo dire che ad avvicinarmi alla musica è stato mio padre, che era un fotografo professionista. Ho quindi cominciato fin da piccolo a cantare partecipando alle selezioni per lo Zecchino D’Oro per poi a 11 anni iniziare a suonare e poi fondare alla fine della terza media la mia prima band insieme a un chitarrista e un batterista. Ci mancava il pianista, per cui ho approfondito lo studio del pianoforte e più avanti, su consiglio di Enrico Simonetti che avevo conosciuto in occasione di un incontro con gli alunni delle scuole medie, preso lezioni a Sanremo da Pippo Barzizza, colui che aveva portato lo swing in Italia. Barzizza è stato fondamentale per quanto avrei sviluppato più avanti, con un metodo di insegnamento che si addiceva al mio modo di essere. Intanto con la band ci esibivamo ai caffè concerti nei dintorni di Alassio e, finalmente, a 17 anni ho sfiorato un primo contratto con la CGD. Contratto non andato in porto nonostante al disco avessero lavorato nomi importanti come Enrico Riccardi e Cristiano Minellono.

Come sei arrivato a Sanremo nel 1981 con Un’isola alle Hawaii, dopo i primi singoli come Splash!, una canzone estiva, un genere intramontabile, e un retro strumentale, al limite della disco music, Candid Love?
Nel 1978 mi avevano chiesto di scrivere una canzone spot per un monumento (Amore Puro dello scultore Eros Pellini) installato presso il Muretto di Alassio e presente anche sulla prima copertina del 45 giri. In realtà il brano lo avevo scritto per la mia ragazzina, adattandolo poi all’occasione con l’aggiunta di un frase finale che faceva riferimento al monumento. La canzone registrò un certo successo tanto da diventare l’anno dopo la sigla del Girofestival, presentato da Pippo Baudo. Il retro era effettivamente strumentale e vi avevano partecipato dei signori musicisti. Arrivando al 1981, ero entrato in Durium nel team di Pinuccio Pirazzoli e Salvatore De Pasquale, in arte Depsa. Lavoravo molto tenacemente e con determinazione, ero anche trattato con grande correttezza. Posso dire di essere stato fortunato avendo la possibilità di scrivere gomito a gomito con persone che avevano già alle spalle grandi successi. Tra loro ero visto come il ragazzino scanzonato e arrivai così all’Ariston, esibendomi tra l’altro per primo con tutti gli occhi degli organizzatori addosso, ma venendo subito eliminato. La foto di copertina invece l’aveva scattata mio padre. Lui era bravissimo, ma un padre alla fine vede un figlio con occhi diversi e in quella foto non ero certo il massimo.

Nonostante l’eliminazione hai iniziato comunque a scrivere diversi brani. Un bel riconoscimento.
Di fatto ero ancora in fase di apprendimento, mi chiedevano canzoni un po’ diverse da come mi immaginavo io, ossia seduto al pianoforte. Alla Elton John, per intenderci. Per quello un altro produttore, Tino Nicorelli, in seguito mi ha ‘rinfacciato bonariamente’ di non essere andato a lavorare con lui. In generale mi sono sempre considerato un cantautore musicale, avendo collaborato con grandi parolieri. Come è accaduto, con i dovuti paragoni, a Domenico Modugno, che ha dovuto molto a Franco Migliacci, o a Battisti, con Mogol. Battisti tra l’altro l’ho scoperto successivamente. Io ero ‘figlio’ di Bigazzi, Savio, Ranieri, Little Tony…

Tra i tuoi successi come autore ci sono quindi diverse canzoni che hanno partecipato a Sanremo, a partire dall’edizione del 1982.
Sì, e questo fu possibile anche per le occasioni che mi erano state date dal team in cui ero inserito. Quell’anno portai ‘Ping Pong’ di Plastic Bertrand che mi fu affidata come un ‘compito a casa’, piacque a Depsa ed ebbe ottimi riscontri di vendita. ‘Una sporca poesia’ di Fiordaliso fu invece gran parte farina del sacco di Pinuccio Pirazzoli. Ecco che la compilation di quel Festival vendette centinaia di migliaia di copie e questo permise di ripagarmi l’abito indossato all’Ariston l’anno precedente… Poi sono arrivate ‘Regalami un sorriso’ per Drupi, ‘Io amo’ e ‘Mi manchi’ per Fausto Leali fino alla vittoria di ‘Ti lascerò’ nel 1989 della coppia Oxa-Leali. Canzone scritta da me e Fabrizio Berlincioni con gli adattamenti degli altri co-autori. Brani che ho sempre scritto pensandoli cantati da me, tranne pochi casi. Io amo ad esempio, alla quale ha poi contribuito Toto Cutugno, era nata con in mente la voce di Billy Joel.

Nel frattempo sei tornato al Festival anche come cantante… La prima volta con E quel giorno non mi perderai più del 1989.
‘E quel giorno non mi perderai più’ la considero di fatto la mia canzone bandiera, quella che mi rappresenta pienamente. ‘Vieni a stare qui’, del 1990, è un brano particolare, con quella chiusura vocale femminile affidata a Paola Folli che rappresenta una risposta affermativa all’invocazione del testo. E infine nel 1992 in coppia con Flavia Fortunato, con ‘Per niente al mondo’. Un periodo particolare perché già all’epoca avevo in scadenza il contratto con la casa discografica. Poco tempo dopo ho però cominciato a scrivere canzoni per bambini e sigle di cartoni animati. La collaborazione con lo Zecchino d’Oro è tra l’altro iniziata per caso. Ero andato all’Antoniano per un video con Maria Perego ed incontrai l’allora direttore artistico Paolo Zavallone che mi propose di scrivere le canzoni per la manifestazione.

Qualcosa di molto diverso rispetto al lavoro portato avanti fino ad allora…
Ci pensai su ma non sapevo come fare, non avendo mai scritto brani per bambini. Caso volle che mi venne a trovare il professor Emilio Di Stefano, per propormi dei testi per le mie canzoni. Gli dissi che dovevo scrivere per lo Zecchino D’Oro e da lì è nata una collaborazione a partire dal brano ‘Goccia dopo Goccia’ del 1994. Collaborazione proseguita negli anni e sulla quale mi sono necessariamente concentrato maggiormente.

Come giudichi il presente musicale?
È evidente che oggi il mondo musicale sta andando in direzioni diverse, alle quali sarebbe stupido adeguarmi come fanno altri. Perderei la mia personalità. Del resto ci sono colleghi che hanno adottato un nuovo linguaggio, ma l’unico modo in cui riescono ad avere successo è comunque proponendo i loro brani storici. Insomma, io non voglio fare finta di essere Achille Lauro. Al quale riconosco una vena artistica non indifferente, ma che non va cercata in come canta, ma in cosa scrive e racconta. E oggi si parla molto del brutto della vita laddove invece un tempo si promuoveva un sogno. Non dico che in passato non esistessero canzoni che seguivano il filone della ‘malinconoia’, quindi il Marco Masini degli inizi il quale, pur essendo comunque un grande, io vedevo come distante dal mio mondo. Oggi però se non parli di temi forti, di disagio, fai fatica a farti prendere in considerazione. Una canzone come ‘Vieni a stare qui’ non la sceglierebbe più quasi nessuno. Un’eccezione potrebbe essere Il Volo.

Un commento sui Måneskin che l’anno scorso hanno raggiunto traguardi enormi?
Intanto va detto che per un italiano un successo del genere negli Stati Uniti non si vedeva dai tempi di Modugno. Ritengo inoltre che non siano per nulla un fenomeno costruito a tavolino. Non è il genere di musica che porto avanti, ma quando li ho visti lo scorso anno a Sanremo mi sono reso conto che avevano una delle poche canzoni complete, costruite come si deve. C’erano infatti introduzione, strofa, ritornello e special. In generale penso che di talenti ce ne siano anche oggi, ma vanno gestiti bene. I gemelli di Guidonia, con cui ho lavorato in passato sul brano ‘Mina dov’è?’ e che hanno vinto l’ultima edizione di Tale e quale, hanno ad esempio grandi doti canore ma devono stare attenti a non etichettarsi solo come personaggi televisivi.

Il tuo ultimo disco è di dieci anni fa, Fortissimissimo…
Fu una sorta di festa per i miei 50 anni. Volevo fare un regalo a me stesso così come agli amici che avevo incontrato nel corso della mia carriera e che avevano creduto in me. Coinvolgendo anche più arrangiatori, con la regola che nessuno avrebbe dovuto occuparsi di un brano su cui aveva lavorato in passato. È stata una prima presa di coscienza, a 50 anni, di quello che avevo effettivamente fatto e ottenuto. C’è stata grande disponibilità a partecipare o e posso dire che il libro ‘Io amo’ è una sorta di continuazione di quella festa. In definitiva tanti artisti hanno interpretato le mie canzoni, dimostrandomi la propria stima. Però nonostante le grandi collaborazioni non ho mai avuto alle spalle un produttore come un Lucariello per i Pooh, un Bigazzi (che avevo contattato quando ero direttore del premio Mia Martini) per Tozzi e Masini e così via. Detto questo, ancora oggi faccio decine di concerti all’anno e sento di riuscire a trasmettere emozioni a chi mi ascolta.

In quel disco è anche incluso il brano Il giorno che la musica finì…
Questo è un brano scritto e interpretato insieme a Gatto Panceri, con il quale ho tante cose in comune, essendo un autore che scrive cantando. Un giorno sono andato a trovarlo e ho notato un suo appunto con quel titolo. Lui non era convinto di quanto aveva fatto per cui provai a musicarla e successivamente l’abbiamo completata insieme. Abbiamo provato a proporla finché non ho deciso di inserirla nel mio disco. In definitiva credo che la musica non finirà mai e, anche grazie alle persone che ne parlano e la ascoltano, continuerà a essere parte della vita di tutti noi.

Foto di apertura: Gary Win Williams

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