Mezzofondo e dintorni
Investiamo in Bondarenko
Stefano Olivari 30/12/2013
Come si fa ad assegnare il premio di atleta dell’anno nell’atletica leggera, nel 90% delle redazioni di tutto il mondo? Semplice: si prende il miglior velocista, meglio se maschio perché potenza e velocità sono legate a un immaginario più maschile. Però il miglior atleta del 2013 non è stato secondo noi (che non siamo una redazione, bensì un insieme di solisti) Usain Bolt, pur immenso ai Mondiali in condizioni non facili sia come ambiente (mezza Giamaica sospettata di doping) che di clima, ma Bohdan Bondarenko.Non ha stabilito primati del mondo, come del resto quasi nessuno a parte Kipsang Kiprotich nella maratona (che comunque non dà un vero primato), ma ha riportato il salto in alto ai livelli di un ventennio fa e lo ha fatto al Mondiale con una delle gare più emozionanti della storia. Quando il suo 2,41 ottenuto al secondo tentativo, dopo avere ‘passato’ la misura precedente, gli ha dato l’oro davanti al qatariota (per una volta non tarocco) Barshim e al canadese Drouin con il loro 2,38. Una misura che non è il 2,45 del record mondiale del cubano Sotomayor (Salamanca 1993) ma che è di sicuro record in una grande manifestazione davanti al 2,39 di Austin ai Giochi di Atlanta 1996 e al 2,40 di Sotomayor al Mondiale di Stoccarda 1993 (la prima edizione onestamente professionistica, quando l’allora presidente IAAF Primo Nebiolo introdusse i premi). Di più: era dal 2000 che non si superavano i 2,40 nel mondo (Voronin) ed era dalla piena era Sotomayor che nessun essere umano superava i 2,41. Più delle statistiche è però interessante la risposta a questa domanda: perché negli ultimi venti anni quasi tutte le specialità dell’atletica hanno fatto passi in avanti, sia pure non con i ritmi del secolo precedente, mentre nel salto in alto no? Discorso che non vale per le donne: è vero che il record di Stefka Kostadinova (2,09) è del Mondiale di Roma 1987, ma negli ultimi anni sia Vlasic che Chicherova sono andate vicinissime a batterlo, con un livello medio di concorrenza molto più simile a quello degli anni Ottanta e Novanta rispetto ai maschi. E allora? Forse gli sport di squadra in cui l’elevazione conta hanno più mercato e più soldi per gli uomini, spiegazione che già da sola dice perché il mondo statunitense di college raramente faccia uscire fenomeni del salto in alto. Nel 1956 Bill Russell vinse a Melbourne l’oro olimpico nella pallacanestro, ma con il suo 2,06 avrebbe avuto i titoli per partecipare anche ai Giochi nell’alto. Ecco: prendiamo la NBA di oggi e troveremmo facilmente 50 atleti con un’elevazione pura paragonabile a quella di Bondarenko. Ma anche in Europa circola gente che, se ben impostata a suo tempo, avrebbe potuto essere Bondarenko. Cosa dire del Jeff Viggiano di qualche anno fa? L’atletica offre meno gratificazioni finanziarie, non solo alla classe media ma anche ai fenomeni, quindi è logico che chi non ha il fuoco sacro sia fagocitato da sport con più mercato e per tanti aspetti anche molto più divertenti. E nel salto in alto, poi, non esiste quella base di amatori che nel mezzofondo o nel ciclismo rende profittevole il doping su scala industriale.
http://www.youtube.com/watch?v=XJLgLyMvQAc