In pari con duecento copie

7 Maggio 2012 di Stefano Olivari

Alberto Moravia ha iniziato autoproducendo le proprie opere, Dostoevsky l’ha fatto anche da autore affermato e indebitato, tanti altri scrittori di successo nel loro tempo o di importanza non effimera si sono buttati già nei secoli scorsi in quello che nel 2012 si chiama self publishing e che si differenzia dal self publishing del passato fondamentalmente per due ragioni: è molto più facile e ha barriere all’entrata, non solo finanziarie, molto più basse. Non stupisce che Jeff Bezos, il signor Amazon, esulti per questo processo di disintermediazione (tutta da leggere l’intervista concessa a Serena Danna per la Lettura), che rende possibile monetizzare qualsiasi nicchia. In altre parole, quale persona facente parte dell’industria culturale, per sfigata che sia, non è in grado di far conoscere la sua opera ad almeno qualche centinaio di persone? Se il punto di pareggio di un libro prodotto in maniera tradizionale con un minimo, ma proprio un minimo, di spese di marketing, è intorno al migliaio di copie, quando l’autore fa tutto da sé i conti possono tornare anche con 200 copie. Con questi numeri lo scrivere non diventerà mai una professione, ma dal punto di vista dello scrittore non lo sarebbe nemmeno vendendo migliaia di copie in maniera classica. Non stupisce quindi che Amazon sia ritenuto dagli editori una sorta di demonio, oltretutto con furbate fiscali che sono possibili solo a chi gioca su più tavoli. Continuiamo a non capire però perché la pensino così anche molti autori, con in testa Jonathan Franzen, legati a schemi distributivi antiquati ma soprattutto a un rifiuto psicologico di considerare il proprio lavoro un… lavoro, come se la scrittura fosse qualcosa di sacro e le cose ‘sporche’ toccassero tutte all’editore. Con il libro cartaceo il vecchio editore, soprattutto quello grande, può dettare legge sui gusti del pubblico e sui compensi dell’autore grazie al controllo dei canali distributivi (in molti casi diretto, tipo Feltrinelli e Mondadori, in altri tramite accordi), ma con l’eBook la partita inizia sullo zero a zero. Ha insomma ragione Bezos quando dice che sarà sempre di più il pubblico ad imporre il successo di un libro e non le possibilità di questo libro di accedere a determinati canali. Siamo quindi ottimisti, nella nostra triplice veste (grandi lettori, modesti autori e invisibili editori): non ci sarà un’invasione di romanzi nel cassetto del professore di liceo, visto che tanta editoria borderline ha sempre prosperato sulle pubblicazioni a pagamento (anche di gente insospettabile), ma un mondo in cui si potrà scegliere sempre di più. Insomma, nel futuro non c’è solo la precarietà ma anche la libertà, senza conventicole mafiosette che ti dicono cosa è bene e cosa è male.

Stefano Olivari, 7 maggio 2012

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