In ginocchio dal morto

24 Gennaio 2013 di Dominique Antognoni

Oggi parliamo di dittatori. Forse qualcuno ci prenderà per nostalgici attempati o per rivoluzionari mancati, chissà. Di sicuro a quasi un quarto di secolo di distanza la nostra mente non si è ancora liberata dall’immagine di Nicolae Ceausescu e dalla propaganda che in un paese comunista invade non solo la vita politica, ma anche ogni più piccolo aspetto di quella quotidiana. E pazienza se qualche amico italiano rimpiange quell’epoca, è fin troppo facile rispondergli che lui in quegli anni viveva in Italia e la sua idea di comunismo era quella di qualche vecchio toscano che discuteva dei problemi del mondo in sezione, magari sognando Ceausescu al posto di Andreotti e Craxi.

Ormai i giovani ed i piccini, anche quelli rumeni, nemmeno sanno chi fosse Ceausescu: buon per loro. Però fra ieri e oggi ci è venuto in mente guardando il tripudio, il continuo battere le mani alla memoria dell’avvocato (con la a piccola, come gli avvocati veri lui che avvocato lo era solo nella finzione giornalistica). Anche Ceausescu in patria godeva di buona stampa, però lì una spiegazione c’era, visto che aveva la cattiva abitudine di ammazzare o spedire in galera chi non lo osannava. Quanta fatica, Nicolae.  Sarebbe bastato mettere l’orologio sopra il polsino della camicia, o la cravatta sopra il maglione, e il gioco sarebbe stato fatto. Poi un battutina stupida (mettiamo ‘Lacatus è un coniglio bagnato’ o ‘Hagi è come Van Gogh’) che comunque la stampa te la faceva passare per geniale ed ecco, eri l’uomo più bravo e buono del mondo.

Ai congressi del Partito Comunista Rumeno, fra l’altro l’unico partito che partecipava alle elezioni (e guarda caso vinceva pure), funzionava così. Ceausescu parlava davanti ad una platea di migliaia di iscritti al partito. Non ci doveva essere nemmeno una sedia vuota, sarebbe sembrato un delitto. Ma come, Lui parla e ci sono dei posti vuoti? Per questo c’era una specie di panchina lunga, altri iscritti che aspettavano in una stanza:  nel caso qualcuno si fosse sentito male. Ad ogni pausa del discorso al paese (la vittoria del comunismo sull’imperialismo, i piani quinquennali e altre amenità) tutti si alzavano in piedi, scattavano come Ronaldo nei tempi d’oro e iniziavano a scandire cori e ad applaudire sorridenti e convinti. Badate bene: non potevi applaudire mosciamente e nemmeno cantare di malavoglia.

Ecco, guardando i programmi televisivi e leggendo gli articoli su Gianni Agnelli a dicei anni dalla sua morte ci è venuto in mente, dal punto di vista mediatico, proprio il buon Ceausescu. Entrambi avevano la stampa ai loro piedi. Certo, sia l’uomo che ha fatto finanziare la Fiat dai cittadini italiani sia quello che ha affamato la Romania erano i padroni del loro paese, ma il rumeno lo era con il terrore e quindi il comportamento dei media era almeno spiegabile. Ma in Italia? Perché tanti applausi, tanta deferenza, tanto servilismo a volte neppure richiesto o apprezzato? Non che a Berlusconi, De Benedetti, Della Valle, Benetton, eccetera, manchino gli adultatori e i cantori, ma per nessuno di loro c’è mai stata l’unanimità giornalistica che è stata riservata ad Agnelli. Con argomentazioni che prescindono dalle poche vittorie (tutte con la Juventus, peraltro, squadra che vinceva prima di lui e che avrebbe vinto anche dopo) e dai tanti disastri imprenditoriali, rimanendo fuori dal privato. No, quello che piaceva di Agnelli era un imprecisato ‘stile’, che nessuno ha mai saputo spiegare (farsi regalare l’Alfa Romeo da Prodi era stile? Andare a sciare in elicottero era stile? Iniziare a lavorare a 45 anni era stile?) ma che chi ha una vita triste forse riesce a individuare in ogni luogo o persona, basta che sembrino lontani e irraggiungibili.

Incredibile che a dieci anni dalla scomparsa perfino su Sky Sport si parli di lui come di una divinità. Invitati su invitati nello studio che pare discutano del Dalai Lama. Certo, non siamo così ottusi da volere nelle varie trasmissioni dei giornalisti veri, che dicano quel che sanno o che pensano, però un minimo, dicasi un minimo di dignità, ce lo aspetteremmo. Ti pare di assistere ad una gara a chi la spara più grossa o a chi lo elogia di più. Mi telefonava alle sei del mattino, che bello! A me invece alle 5 e 45, che emozione! La domanda è: perché? Quasi quasi ti viene la voglia di dire loro “Hey, calmini, è spirato dieci anni fa, non leggerà i vostri pezzi e non potrà ascoltare i vostri commenti mielosi, rilassatevi. E anche in vita vi disprezzava”. Certo, la Fiat regala ancora pubblicità a destra e a manca, sappiamo come funziona. Quello che è terrificante è il piacere dei giornalisti di mettersi in ginocchio perfino davanti ad un morto.

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