Il vero Jack Nicholson

13 Novembre 2012 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal deserto del Gobi, fra laghi asciutti come certi fenomeni del basket italiano a bocca larga, e città  misteriose almeno come tante squadre che in questi giorni vanno al luogo comune: siamo sott’acqua, dobbiamo riemergere, guardiamoci negli occhi, non capisco l’atteggiamento, svegliarsi o  cadere…. Tutte cose note alla famiglia mongola che ci accompagna nel deserto fino alla città dei mille Buddha dove non trovi un biglietto di ritorno dalla Cina per andare a vedere la fila dei postulanti davanti al santuario mariano della zona tra le colline in Bosnia Narenta dove, dicono, vanno spesso molti  sportivi alla ricerca della grazia adesso che i maghi dell’antidoping hanno trovato di tutto e di più nella bisaccia del campione speciale e anche di quello comune, moltissimi allenatori che non riuscendo a capire le squadre che allenano, i giocatori che non vedono l’ora di scappare in discoteca per ballare sui tavoli con ballerine che arrivano da altri mondi e la sanno lunga, vogliono almeno un segno dalla Vergine per tornare a casa  e poter spiegare a chi li paga che presto tutto risorgerà sulle ceneri del primo incontro andato male per colpa della cipolla cruda.

Si dice così se ti accorgi di aver preso, come dice don Sergio Scariolo,  giocatori dotati per l’attacco, ma poco disponibili  a togliersi il cerone di scena quando devono arginare nemici aggressivi. Aspettando la grazia, Milano si domanda come ha potuto prenderne così tanti da una Reyer che aveva al centro uno dei Buddha silenti trovati  alla fine del viaggio nel deserto del Forum. Certo sono anche tante altre le cose che disturbano chi è costretto a dire, troppe volte, e io pago, ma guai mettere in discussione la parola data a Scariolo, l’impegno comune. Sì, adesso, proprio nel momento in cui qualcuno suggeriva che forse la durezza del Frates assistente potrebbe andare meglio delle creme antirughe per un attacco che si sta dividendo sull’ego di Langford ed Hairston e non capisce mai perché nei momenti chiave Bourousis li guarda dalla zona pop corn, di un gioco che non sgorga da Cook e neppure dalle cascate Stipcevic come sapevano tutti, la società nata da zero, porca troia come si fa a dire e ripetere certe cose, come non sapere che con 15-20 milioni di euro Bogoncelli avrebbe vinto la NBA, Gabetti e Stefanel sarebbero stati primi nel regno dei cieli, lo stesso personaggio da cui hanno rilevato la squadra con tutti quei quattrini avrebbe perlomeno fatto le stesse finali ?, fa sapere che il fischiatissimo don Sergio rischia la giacchetta in stile perché sul mercato c’è il crudele Obradovic, un grandissimo, tante coppe, tante storie e non tutte di omicidi colposi e di prigioni, l’uomo che Giorgio Buzzavo, ai tempi in cui lo aveva come capo allenatore alla Benetton, considerava il più cattivo fra quelli conosciuti e anche il più bravo. Ora il popolo Vu dell’Olimpia, quello abituato alle vittorie, all’età dell’oro rubiniana e petersoniana, non chiede tanto, anche perché Obradovic se dovesse arrivare a giochi in corso, prendendo in mano  una squadra costruita da altri architetti che esplorano volentieri la zona zero della vita, farebbe subito sapere che non puoi alzare la spada di Sherwood per urlare che gli agnelli possono diventare leoni se li educhi alla ribellione difensiva. No, meglio pettinare certe lane dal verso giusto e poi, diciamoci la verità, perché Milano dovrebbe temere la rivolta italiana sapendo che alla lunga le cose meravigliose che sta facendo Varese, quelle importanti che propone Sassari, saranno avvelenate dalla fatica, dalle panchine corte anche se siamo con Vescovi  quando urla al mondo e a quelli di Varese nel cuore che la Cimberio di Vitucci non è un fuoco di paglia, anche se il Meo esploratore dei nuovi fiumi europei dice che la coppa migliora la salute mentale del gruppo?

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