Atletica
Il valore di Antibo e Panetta
Stefano Olivari 01/05/2012
Se Daniele Meucci fosse keniano gli direbbero ‘Guardi, faccia altro nella vita’, ma siccome è italiano bisogna esultare per l’impresa realizzata a Stanford: il 27’32”86 con cui ha chiuso (al quarto posto) i 10mila del Payton Jordan Cardinal Invitational vale la partecipazione ai Giochi di Londra con il minimo A, una bella spinta per i prossimi Europei di Helsinki ma soprattutto il quarto crono italiano di ogni tempo.
Un’impresa per il ventisettenne pisano, bronzo europeo due anni fa a Barcellona e modello di serietà in un’atletica che sta assistendo a una fuga dal mezzofondo in pista con l’illusione che in strada sia più facile. L’impresa è stata prima di tutto andare alle Olimpiadi, poi quella di essere il miglior europeo dell’anno (non che siano state corse tante gare, finora, ma il risultato è lo stesso pesante) con un tempo che un azzurro non otteneva dal 1989.
Sì, 23 anni fa, in piena era Salvatore Antibo: il suo 27’16”50 è tuttora record italiano. Una gara, quella di Meucci, con un primo 5mila corso in 13’55” ed un secondo in 13’37”. Con superamento nelle classifiche italiane all time di gente come Alberto Cova, Stefano Mei, Franco Fava e Stefano Baldini. Adesso davanti a lui ci sono solo il già citato Antibo, Francesco Panetta (27’24”16) e il Venanzio Ortis (27’31”48) argento agli Europei di Praga 1978 dietro a Martti Vainio prima di conquistare l’oro nei 5mila. Il punto è che quando Antibo e Panetta fecero il loro personale a Helsinki il record mondiale era di 27’13”81 (del portoghese Fernando Mamede) e che quando Ortis fece quel tempo a Praga il record era di 27’22”47 (dell’incredibile keniano Henry Rono). In altre parole, Antibo era a 3 secondi dal mondiale, Panetta a 8 e Ortis a 9. Meucci è a 1’15” dal 26’17”53 di Kenenisa Bekele, il che equivale ad almeno un doppiaggio. Visto che gli atleti africani sono sulla scena mondiale ai massimi livelli fin dai Giochi di Messico 1968 (parliamo di movimento e non di singoli campioni, che c’erano anche prima), cosa è dunque cambiato? La risposta non può essere lo solita tiritera sugli europei che hanno meno voglia di soffrire, perché Meucci vive di atletica esattamente come Bekele. Certo è che solo adesso ci rendiamo conto appieno del valore di una generazione straordinaria di mezzofondisti e di un ambiente dove ‘agonismo’ non era una brutta parola.
Stefano Olivari. 1 maggio 2012