Il triplo passo di Biavati

18 Luglio 2007 di Roberto Gotta

1. Passato qualche giorno, non è più il caso di fare una cronaca del Superbowl XXVII, edizione italiana, svoltosi sabato sera a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia. Piuttosto, cercando di non sconfinare nel trombonismo di chi si affaccia ogni tanto su quel che che accade in un palcoscenico e pretende di capire tutta la trama, proviamo a mettere nero su bianco le sensazioni, anche tecniche, della serata. La premessa, imbarazzante, è che da un po’ non vedevamo un Superbowl italiano. Volontà nostra di ‘studiare’ bene le discipline che per amore o per forza seguiamo normalmente e dunque assoluta mancanza di tempo ci hanno spesso portati lontano, e comunque lontano dal Superbowl ma anche da troppe partite italiane. Per fortuna c’è chi ci tiene informati, ma in ogni campo niente vale come l’osservazione diretta.
2. Per cominciare, lo stadio di Scandiano terrà nella tribuna principale non più di 2000 spettatori, ma i posti erano tutti occupati; in più, a bordo campo, dal lato sinistra, era stata allestita una specie di terrazza con numerosi tavolini, e anche la gradinata scoperta dalla parte opposta era piena, con l’aggiunta di molti spettatori in piedi lungo la recinzione. Non folle straboccanti, ma non c’erano posti liberi, ed è già qualcosa, anche se come succede dal momento del declino del football italiano dopo il periodo della crescita trionfale (anni Ottanta) buona parte del pubblico è composta da parenti, amici, giocatori e allenatori di altre squadre. Ma il football in questo non è certamente diverso o inferiore a tante altre discipline anche più note. Ed un’altra caratteristica invariata rispetto al passato è che agli speaker del campo non viene perdonato nulla: con una contraddizione che sarebbe anche deliziosa se non fosse prima di tutto triste, i tifosi delle varie squadre amano magari il football come espressione di una disciplina seria, vigorosa ed americana e alla tradizione e mentalità sportiva statunitense si rifanno, ma ricadono all’italianissima paranoia di ritenere sempre che lo speaker del Superbowl ce l’abbia con la propria squadra (ma perché?) o evidenzi solo le azioni positive di quella avversaria. Osservazione che andava fatta, ma prima parliamo dello speaker, Maurizio “Momi” Zanni, tuttora giocatore (Hogs Reggio Emilia) e bizzarrissimo autore di una fanzine ciclostilata (Ultrafootball) che fa piegare in due dal ridere: l’ultimo numero aveva uno sconto di 5 centesimi, e visto che di solito il giornale è gratis, lo sconto diventava in realtà un regalo di 5 centesimi, con monetina attaccata con lo scotch alla prima pagina della fanzine…
3. Ad un certo punto di una partita splendida, da un gruppo di tifosi di una delle due squadre è arrivato il mugugno: “parli bene solo degli altri”. Un’assurdità totale: anche perché la gara, con continui cambi di scenario e azioni spettacolari, aveva fornito invece l’occasione per costanti sottolineature del valore, a turno, di ciascuna delle due squadre. Ma il bello è che a fine gara abbiamo sentito anche chi sosteneva invece che Zanni era stato troppo benevolo ed attento verso la squadra i cui tifosi ritenevano di essere danneggiati. Episodio frivolo e insignificante, certo, ma ci ha colpiti perché la mentalità era la stessa di vent’anni fa, sui campi di football.
4. La partita? Anche quella ci ha riportato indietro di tanto tempo. 55-49 per gli Acufon Lions Bergamo sui Giglio Panthers Parma, dopo due “tempi” supplementari, che nel football versione italiana ed NCAA sono un po’ particolari, e lo vedremo. Ci ha riportato indietro alle origini del football perché due giocatori in campo hanno dominato, i due quarterback Donald Allen e Michael Souza, e per gli altri c’è stato pochissimo spazio. O meglio: se due Qb assieme lanciano 12 passaggi in touchdown è ovvio che qualcuno, ovvero i ricevitori, ha fatto cose splendide, ma ci ha messi un pochino a disagio vedere che il passare degli anni non ha portato miglioramenti ad una situazione non edificante: quarterback americani con esperienza NCAA anche media possono dominare partite a piacimento, e quando anche le loro linee offensive non riescono a trattenere la difesa (capita) e a proteggerli, basta loro correre a destra o sinistra e inevitabilmente trovare il ricevitore libero, anche perché dopo qualche secondo, quando lo schema chiamato non è magari più effettuabile, i ricevitori correttamente cercano di smarcarsi ugualmente improvvisando, e per un difensore è durissima stare appiccicato ad uno che non hai la minima idea di dove stia andando. Vero che anche nella NFL ci sono partite con strepitose esibizioni aeree, ma in quei casi si tratta di giornate speciali da parte di quarterback in condizioni favorevoli, mentre nel campionato italiano si tratta quasi sempre di favolosi solisti che una volta preso lo snap dal centro improvvisano e fanno quel che vogliono – se non riesce l’opzione iniziale scelta dallo staff tecnico – anche per obiettiva difficoltà degli allenatori nel lavorare sugli uomini: specialmente le linee, attacco e difesa, dipendono da un lungo lavoro di allenamento, dalle famose “ripetizioni” ovvero la ripetuta esecuzione di un gesto tecnico e la simulazione tattica, e di fare tutto ciò non c’è tempo, ovviamente, in uno sport i cui praticanti studiano o hanno altri lavori e non possono fare i necessari cinque allenamenti di tre ore ogni settimana. Per cui, in una situazione del genere, spicca e domina chi ha un’esperienza di gioco fin da bambino che gli atleti italiani ovviamente non possono avere, specialmente se ben supportato da ricevitori di alta qualità: con piacere segnaliamo ai non esperti che non c’è stato solo Craig McIntyre, l’americano dei Panthers che ha ricevuto sette passaggi per 164 yard, ma anche il veterano dei Lions Maurizio Barbotti (otto x 184), mentre altri tre giocatori sono andati oltre le 80 yard ricevute. In tutto questo fiorire del gioco di lanci, le difese hanno avuto ovvie difficoltà. Le 856 yard di total offense, ovvero il totale delle yard conquistate su azioni dalla linea di scrimmage (e dunque non con gli special team) testimoniano la potenza (se non certo la varietà) degli attacchi e l’annaspare delle difese, penalizzate da quanto si è detto sopra: quando un Qb parte e muovendosi dietro la linea di scrimmage, in alcuni casi con acrobazie, riesce a guadagnare tempo, è dura fermarlo, a questi livelli.
5. Il secondo tempo dei Lions è stato più proficuo del primo, però, anche per una variazione difensiva: il secondo americano, Andre Sommersell, che nel primo tempo aveva in pratica giocato come defensive end quindi all’estremità della linea difensiva, ha trascorso molto più tempo come linebacker, causando maggiori problemi alla linea parmense, ed un altro linebacker dei lombardi, Claudio “Clyde” Biavati, è stato utilizzato con ampi compiti di “spia”, ovvero quasi in marcatura a uomo, a distanza, su Souza, che in effetti nel secondo tempo ha lanciato per sole (!) 113 yard rispetto alle 213 del primo tempo, chiudendo con 344 e sette passaggi in touchdown, oltre ad un continuo lavoro anche in difesa come safety. Per questo motivo è stato deciso di unirlo ad Allen – cresciuto invece nel secondo tempo, dopo un primo da 135 yard, fino a chiudere con 407 e cinque touxhdown lanciati più due segnati personalmente, e dire che doveva non essersi ancora ripreso del tutto da un infortunio – nel riconoscimento di Mvp del Superbowl. Che è stato trasmesso in diretta radiofonica Web e con statistiche in tempo reale dal solito efficacissimo duo Giovanni Ganci-Massimo Foglio (con l’assistenza di Marco Santini) su www.fiaf.net, dove potrete ancora trovare le statistiche, ed ha avuto un andamento esaltante: tutti e quattro i drive offensivi (ovvero i possessi di palla) dei Panthers del primo tempo sono finiti con un touchdown, mentre i Lions hanno commesso un fumble, perdendo la palla, ed hanno chiuso sotto 28-14. Nel secondo tempo sono andati avanti anche 35-21, ma due touchdown dei Lions hanno portato alla parità…o quasi: sul secondo Td infatti i bergamaschi ha

nno scelto la bizzarra e coraggiosa soluzione della trasformazione da due punti, cercando di andare avanti 36-35, ma hanno fallito e si sono trovati ancora ad un punto di distanza e con un’avversaria fin lì in grado di segnare con regolarità questo voleva dire il pericolo di andare sotto, in caso non improbabile di touchdown subito, di otto punti. Invece, dopo un fumble dei Panthers del quale però i Lions non hanno approfittato, perdendo a loro volta palla cinque azioni dopo, Parma ha commesso un errore che poteva essere decisivo: con un quarto tentativo e cinque yard dalla propria linea delle 26 yard, i Panthers hanno scelto di cercare la conquista del primo down invece di calciare la palla: non ce l’hanno fatta ed i Lions, ottenuto il possesso, in due azioni sono andati dentro, trasformando anche da due per il +7 sul 42-35. Parma ha poi pareggiato a poche decine di secondi dal termine, usufruendo di una delle tantissime penalità fischiate alle due squadre, altro aspetto che purtroppo ha spesso contraddistinto il football italiano, dove a quanto pare troppi giocatori non sanno mantenere la concentrazione durante le azioni e la calma dopo il fischio degli arbitri, come testimoniano i numerosi fazzoletti gialli per falli antisportivi. Nello specifico, con i Panthers in difficoltà e alle prese con un quarto tentativo e due yard sulla linea delle 4 di Bergamo, la difesa dei Lions ha commesso un fallo a gioco fermo che ha dato agli emiliani il primo down con successivo touchdown di Ummarino del pareggio, 42-42.
6. E qui entrano le norme dei supplementari: si dà a ciascuna squadra la palla a 25 yard dalla end zone, e da lì si hanno a disposizione quattro tentativi per conquistare le classiche dieci yard e si va avanti fino alla segnatura o alla perdita della palla. Tocca poi all’altra squadra, ed alla fine del turno d’attacco per entrambe si prosegue con analoga procedura (ma stavolta ha il primo attacco la squadra che aveva avuto il secondo nel primo turno) fino a che il punteggio non si spaia. Da notare che dal terzo attacco per ciascuna squadra c’è l’obbligo di trasformare l’eventuale touchdown con un’azione da due punti, non vale più il calcio da uno. I Lions dunque hanno segnato in due azioni: lancio di 18 yard per Federico Bianca, e dalla linea delle 7 (ovvio: si partiva dalle 25, e 18 erano state conquistate con il lancio su Bianca) corsa di Allen più calcio di trasformazione. Con la pressione addosso, Parma ha però pareggiato al suo turno d’attacco: corsa di 5 yard di Souza e lancio di 20 yard per McIntyre, con trasformazione di Emanuele Gavesi per il 49-49. Osservando l’alternanza, di nuovo Panthers in attacco: ma dopo tre tentativi infruttuosi più la solita penalità, sul quarto tentativo e tre dalle 18 Alessandro Fontanella (8 ricezioni per 85 yard e un touchdown) ha ricevuto il passaggio di Souza ma ha poi perso la palla su placcaggio di Giordano Pigolotti, e il pallone è stato ricoperto da Biavati (al terzo scudetto). Nel loro turno d’attacco i Lions hanno prima completato un lancio su Marco Podavitte peraltro per 0 yard, poi segnato il touchdown con lancio di Allen per Fabio Capodaglio: ovviamente, dato che ai Panthers non spettava più il turno d’attacco, non c’è stato bisogno della trasformazione e il 55-49 è diventato il risultato finale, con l’ovvia delusione dei Panthers che almeno fino all’inizio dell’ultimo quarto erano parsi in grado di controllare la partita.
7. Naturalmente, le già elencate perplessità su alcuni aspetti tecnici non sottraggono nulla al valore della gara, che, ripetiamo, è stata memorabile, emozionante, coinvolgente, di quelle che sarebbe bene mostrare in giro per far vedere come ci si possa divertire parecchio con il football italiano: un divertire che non è lo sport spettacolo cui a volte cialtronescamente si aspira per compiacere le televisioni, ma un divertire che nasce dall’essenza stessa di uno sport e del suo svolgimento. Ogni tanto capita che commentatori non proprio arguti, di fronte a particolari capovolgimenti di fronte in gare della disciplina che seguono, si lascino scappare espressioni stupide come “solo il (inserire nome dello sport a scelta) può dare certe emozioni”. Sono cialtronate ad uso del popolino, come ovvio, perché finali di partita esaltanti possono verificarsi in tutti gli sport di squadra e anche in alcuni sport individuali, ma è bene che si sappia in giro che il football è tra questi, e che nei momenti in cui è quarto down e due yard e lì si decide una partita conta davvero poco, al di là del fiotto di retorica, che si sia al Torelli di Scandiano o al Dolphin Stadium di Miami.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it
http://vecchio23.blogspot.com

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