Il Tour con venti watt in meno

29 Giugno 2013 di Simone Basso

Sabato 29 Giugno centesima edizione del Tour de France e vernice inedita in quel di Porto Vecchio, un pezzo di Zena (Genova) incastrato per caso nel centro del Mediterraneo. Partenza in Corsica, quindi, che per la primissima volta, ospita la Grande Boucle. Una Fete de Juillet che si sviluppa tutta in territorio francese e con un disegno alquanto diverso rispetto al 2012. L’Amaury, gli organizzatori del blockbuster, hanno il buon senso delle grandi occasioni: l’anno scorso, alla vigilia delle Olimpiadi londinesi, stesero un tappeto rosso per i superpassisti alla Bradley Wiggins; questa stagione hanno preferito un tracciato meno monocorde, parecchio più esigente nella terza settimana. Che poi il Tour goda di una posizione di privilegio, essendo una sorta di Wimbledon della bicicletta, è acclarato dalle duecentocinquanta località che – ogni volta – si candidano per ospitare l’evento.

La storia, in presenza di un ricciolo antiorario, che dunque finisce la competizione sulle Alpi, racconta quasi sempre di una contesa serrata fino all’ultimo. Dopo le tre tappe isolane, attenti all’Aiaccio-Calvi, la terza, infida e corta, si ritorna sulla terraferma con una cronosquadre (di 25 km) nel nizzardo, delicatissima per gli uomini di classifica. I Pirenei avranno un approccio robusto, il temibile Col de Pailhères, verso l’arrivo di Ax 3 Domaines, all’ottava frazione, ma poco altro nella scontata Saint Girons-Bagnères de Bigorre. Decisamente più impegnativa la seconda metà della sfida: il 10, l’undicesima tappa Avranches-Mont Saint Michel (33 chilometri contro il tempo) sarà paesaggisticamente suggestiva quanto fondamentale per chi coltiva ambizioni gialle. Poi arriveranno, in serie, i dì del giudizio inappellabile.. Il leggendario Mont Ventoux, al termine di una cavalcata di 242,5 chilometri, il giorno della festa nazionale, il 14 Luglio. Infine il pokerissimo: l’Embrun-Chorges, una crono individuale piuttosto mossa, alla diciassettesima; l’attesissima Gap-L’Alpe d’Huez con tanto di doppia ascesa della montagna inaugurata da Fausto Coppi nel 1952. I cinque colli, tra i quali Glandon e Madeleine, della Bourg d’Oisans-Le Grand Bornard e la bastonata conclusiva verso Annecy, il traguardo inedito, in quota, di Semnoz, a dir poco impietoso al penultimo giorno di fatiche. Il suggello, rispettando la grandeur, sarà la passerella finale disputata la sera: depart suggestivo dai giardini del Palazzo di Versailles e circuito, illuminato artificialmente, nello splendore dei Campi Elisi.

Un programma niente male, con un favorito e alcuni pretendenti. Chris Froome, il britannico d’Africa, è il candidato numero uno alla maglia gialla: rimane solo (..) da confermare la tenuta psicofisica con il peso del pronostico addosso. Pedalatore esteticamente così così, quasi sgraziato sul mezzo quando è à bloc, eccezionale per potenza e rendimento complessivo sia in salita che sul passo, sarà affiancato da uno squadrone pazzesco (Porte, Kirienka, Siutsou, Boasson Hagen, Stannard…). Vedremo se la Sky Procycling ripeterà la campagna trionfale di dodici mesi fa, l’opposizione più qualificata verrà comunque dal Team Saxo-Tinkoff di Alberto Contador: un torero pallido quello del 2013, soprattutto nell’esercizio delle lancette. Pensiamo addirittura che contro il Froome ammirato al Delfinato, verificata l’impotenza degli avversari diretti, ci possa scappare la santa alleanza iberica. Con l’eccezione dei duelli Banesto-Once dei Novanta, una consuetudine storica spagnola. La Movistar di Valverde, Rui Costa e Amador, per esempio, col piccolo aiuto (..) della matricola Nairo Quintana, grimpeur fenomenale, che ricompare (..) dopo un mese di Aprile di alto livello. E la coppia Katusha, Joaquim Rodriguez e Dani Moreno, forse un pò leggeri per l’impresa ma capaci di sparigliare le carte.

Il resto dell’offerta è abbastanza prevedibile: la strana coppia Bmc, il vecchio e glorioso Evans, l’emergente Van Garderen; i francesi Pinot e Rolland, il misterioso Andy Schleck; lo sfortunato Hesjedal, Kwiatowski e De Gendt. Un’elite di corridori che dovrà giocoforza confrontarsi con il caos del plotone e le ambizioni feroci dei cacciatori di successi parziali. Quelli da tracciato misto sono guidati dal talentuosissimo Peter Sagan, il terrore del prossimo mondiale fiorentino, ed esibiscono pure l’iridato Gilbert, Daniel Martin, il nostro Albasini, Gerrans, Voeckler, etc. I velocisti hanno invece come faro indiscusso Re Mark Cavendish, opposto alla coppia Argos-Shimano Kittel e Degenkolb, gorilla Greipel, il promettente Bouhanni, Kristoff e Goss.

Proprio dall’incrocio di queste gare parallele scaturiranno le storie più interessanti di questo Tour. Che sarà accompagnato, suo malgrado, anche da variabili esterne: dalla minaccia di proteste del movimento contro le unioni omosessuali, in tal caso ci auguriamo che ci pensino le automobili della carovana, alla pubblicazione retrodatata – da parte dell’Afld – dei test antid****g della Grande Boucle 1998. Un atto luddista, di dubbio gusto.

A proposito di suggestioni burroughsiane, cyberpunk, dieci anni fa il centenario: si impose (?) un Armstrong fortunello opposto al miglior Ullrich post 1997; la canicola insopportabile, Vinokurov stile Tana delle Tigri e Beloki che, cadendo nella discesa della Cote de la Rochette, si sbriciolò tutto. Fa impressione pensare che, rispetto al 2003, il ciclismo di vertice abbia perso quasi il vento percento nei wattaggi: indietro, per fortuna, si torna…

Magari al 1983, la Grande Boucle della nostra vita, quella con Breu e i dilettanti colombiani, speranze deluse, e che rivelò una nuova generazione (Fignon, Vanderaerden, Delgado, Gorospe, Millar, Roche). Priva del despota Hinault, si sviluppò una contesa selvaggia, anarchica, a eliminazione. Saltarono Kelly e Zoetemelk (l’olandese al pisciatoio), poi la sfortuna dell’eroico Pascal Simon – che cadde indossando un giallo che pareva definitivo – il ruzzolone di Van der Velde e la fringale di Perico Delgado sulla Madeleine, nel momento clou. Vinse allora Laurent Fignon, appena ventiduenne, a oggi l’ultimo trionfo di un esordiente nella corsa a tappe più prestigiosa del mondo.

Il 1923 invece, colla macchina del tempo di H.G. Wells, celebrò l’apice della carriera di Henri Pelissier. In soldoni, il fuoriclasse che inventò suo malgrado l’epica maledetta del ciclista. Il Babe Ruth europeo. Si aggiudicò il Tour, finalmente, con un numero dei suoi nella Nizza-Briancon: staccò l’inquietante Bottecchia, scomodo luogotenente all’Automoto, e si involò solitario sull’Izoard. Chiuse un’esistenza breve e tempestosa nel 1935, ricco e infelice, ucciso con un colpo di arma da fuoco sparato dall’amante: che usò la stessa pistola della moglie suicida… Un personaggio incredibile, il sole nero del ciclismo. Uno sport che rinnova il proprio fascino brutale, eterno, a Luglio, sulle strade assolate della Francia. Scrisse Gianni Cerri: “Non c’è traguardo più grande. Non c’è gloria più vera.”

Per gentile concessione dell’autore, fonte: il Giornale del Popolo di sabato 29 giugno 2013

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