Il tifo per Gallinari e Jannacci

5 Aprile 2013 di Stefano Olivari

Non sappiamo ancora se Danilo Gallinari starà lontano dal basket tanto o tantissimo, mentre scriviamo queste righe. Il crack del ginocchio sinistro durante la partita contro i Mavericks ha probabilmente chiuso la sua stagione della consacrazione. Ci dispiace molto per lui, unico dei tre azzurri NBA ad avere lo spirito patriottico di un Parker o di un Nowitzki, ci dispiace per i Nuggets che al di là dei record quest’anno nella pallacanestro da playoff partivano a Ovest battuti solo contro i Thunder (segnali di ribasso dagli Spurs, bravissimi escutori, ma…) mentre adesso dovranno attaccarsi alla legge del Partenio, sia pure senza Di Somma e Cattaneo. Avellino non è alta un miglio, ma trent’anni fa a bordo campo c’erano personaggi con più energia di Kenneth Faried…

Ma lo sfortunato Gallinari è solo un pretesto per una considerazione che avevamo in canna da almeno una settimana, riguardante il localismo mascherato da una apparente razionalità. Dopo le morti di Enzo Jannacci e Franco Califano le valutazioni sulla loro carriere artistiche sono state diverse a seconda non dei commentatori, ma della sede della redazione centrale. In parole povere, i media ‘milanesi’ hanno esaltato (anche in base al semplice spazio grafico, vedi Corriere della Sera) di più la poetica di Jannacci mentre quelli ‘romani’ il carisma di Califano. Pochissime le eccezioni, non solo fra i vituperati giornalisti ma anche fra i lettori (nel suo piccolo, anche Indiscreto ha confermato questa statistica).

Però gli onesti, sia pure ottusi, sono milanese-preferisco Jannacci e sono romano-mi piace Califano sono stati coperti da considerazioni qualitative da arrampicata sugli specchi. Un meccanismo calcistico, solo che nel calcio quasi nessuno di noi si preoccupa di nascondere le sue simpatie. Diciamo tutto questo perché siamo milanesi e califaniani, pur ammettendo che le carriere di questi due grandi artisti hanno viste da un marziano molti punti in comune. Stessa generazione, un grande successo come autori replicato solo parzialmente come interpreti e solo grazie ad una forte caratterizzazione (Jannacci lo stralunato, il fool che dice grandi verità, Califano il tenebroso che fa capire di averle viste tutte), un pubblico di devoti, una carriera cinematografica marginale, buonissime critiche da venerati maestri, notorietà internazionale nulla. Grandi artisti italiani, grandi personaggi regionali.

Un po’ la stessa cosa avviene nella NBA, dove i romani (in senso esteso) simpatizzano per Bargnani, i bolognesi per Belinelli e i milanesi per Gallinari, tirando fuori giustificazioni tecniche alla carta. Ognuno ha argomenti a suo favore. Bargnani è il 7 piedi (2,13) che tira meglio nel mondo insieme a Nowitzki ed il fatto che sia stato prima scelta assoluta in un draft lascia a distanza di 7 anni ancora orgogliosi noi cresciuti con le scarne notizie degli anni Settanta e con chiamate all’undicesimo giro (insieme a donne cannone e mangiatori di fuoco) spacciate per un grande onore. Gallinari è il più completo dei tre, Karl lo ha sganciato dalla logica del bianco tiratore ed in molte partite è stato il leader tecnico dei Nuggets. Belinelli è quello dei tre che nei suoi anni (questo è il sesto) NBA è più migliorato rispetto all’arrivo, in un ruolo in cui la concorrenza non è nemmeno paragonabile a quella trovata da Bargnani e Gallinari e dove ci si confronta con i migliori atleti del mondo. Belinelli sarebbe insomma un po’ il Dalla della situazione, se l’autore di Washington, non fosse morto troppo prima di Jannacci e Califano. E quindi? Abbiamo un pregiudizio contro chi dice di non avere pregiudizi.

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