Il taccuino di Spoon River

1 Febbraio 2013 di Oscar Eleni

Oscar Eleni alla scoperta del Barrio Chino dove il Montepaschi ha pagato la micragna di una stagione difficile, coraggiosa, orgogliosa, costruita su acquisti sbagliati. Anche se il lavoro del gruppo, al di là del bene e del male di chi finanzia, e la storia della casa hanno dato ai campioni d’Italia la forza per fare cose straordinarie, nonostante tutto. Eze, Sanikidze, Kangur e forse lo steso Brown non sono della famiglia. Potranno giocare ancora buone o strardinarie partite, Brown lo ha già fatto, ogni tanto Sanikidze, qualche volta Kangur, quasi mai quello che resta di Eze, ma sarà una strada difficile e  non potendo aggiungere niente servirà soltanto il lavoro che la strada biforcuta campionato-coppa renderà comunque una sofferenza per Luca Banchi che ha già dimostrato di essere allenatore di grande qualità.

Strade della vecchia Barcellona per dimenticare la sbornia contro il Barca, ma anche per meditare quando arriva la notizia della morte di un grande, del professor Dido Guerrieri da Civitavecchia, 81 anni spesi bene. Uno che, come ha detto Cesare Pavese leggendo l’antologia di Spoon River del grande Lee Masters, ha guardato spietatamente, con grande ironia al piccolo mondo antico del basket italiano, lui che sapeva tutto della piccola America dei canestri e la rappresentò in una  formicolante commedia umana, con dolente, sarcastica voce che ci ha commosso e ci ha esaltato.

Dido l’argonauta, l’uomo che odiava l’eleganza formale come direbbe Boscia Tanjevic che per primo si iscrrsse al suo partito di ribelli contro l’abito che non faceva mai il monaco, che ci ha fatto da maestro alla scuola per avere la prima tessera da allenatore. Con Riccardo Sales, che poi divenne il suo assistente, bevevamo avidamente tutto quello che si poteva in quelle lezioni alla Social Osa. Poi  il master con Carnesecca a Roma, dove il professore era uno dei tutor della legione lombarda composta dal barone, da Bianchini, Paolo Viganò, Innocenti e Santinoli, il mucchio non tanto selvaggio che abitava dalla vedova Alice Feller e che sognava il futuro sul lago di Bracciano fra carbonare giganti.

Dido e la sua fantasia per rendere piacevole la vita sotto le plance. Aveva genio, era un grande guru e dove è andato ha lasciato impronte come potrebbero testimoniare i suoi  tanti allievi, ultimo dei quali il Romeo Sacchetti che sicuramente nel viaggio splendido con Sassari ha portato nell’isola la voce, il pensiero, il sistema del Guerrieri da combattimento che domava Jura nella Mobilquattro dei sogni anti Simmenthal, domava i grandi e insegnava ai giovani virgulti con il capolavoro di Torino, quella squadra che si mise di traverso quando Peterson e l’Olimpia cominciavano l’età dell’oro. Gli dobbiamo tanto, personalmente  una visione diversa della vita, dai giorni in cui camminavamo su strade diverse al Madison Square Garden dove Sandro Gamba ci aiutò ad entrare nel mondo che Guerrieri e Cerioni non avevano ancora spalancato al giovane cronista in viaggio per la Gazzetta.

Proprio da Lee Masters rubiamo il ricordo di un tale che si chiama Oscar.

Andavo barcollando nel buio, c’era un cielo velato sul nostro basket, qualche stella come Rubini e Dido Guerrieri che seguivo meglio che potevo. Cercavo di trovare una casa, ma non so come mi ero smarrito, benchè  in reltà quella fosse la strada giusta. Poi traballai per un cancello, un cortile, una palestra e chiamai con quanta voce avevo: Oh professore, oh carissimo Dido da Civitavecchia cresciuto alla Farnesina, marito della pasionaria Fosca romagnola. Venne fuori e urlò: Ubriacone di un Oscar, guarda questo bastone, lo userò per indicarti la strada e per mia fortuna non caddi morto ai suoi piedi oggi che piango della sua morte. Addio Prof. Grande, grandissimo e le mie lacrime sul Taccuino che è stato il breviario per le ultime preghiere prima di capire.

Inverno che affetta raffiche

Rocce tra i cedri

Spalle piene di rugiada

Sul mio abito di carta

Ondata di caldo e rimpianto.

Share this article