Il sorriso della Trost

19 Agosto 2013 di Carlo Vittori

Alessia Trost soddisfatta per un settimo posto con un 1,93 sotto alle sue possibilità spiega la situazione attuale dell’atletica italiana meglio di chi in finale non ci è andato o non ha nemmeno un centesimo della classe di questa ragazza. Sorrisi, saluti, ringraziamenti al corpo militare, alla Fidal, all’allenatore, a chiunque. In altre parole, la nostra prima punta insieme a Greco non ha vissuto il Mondiale come un traguardo da non fallire ma come un ‘di più’. Eppure la prossima edizione sarà a Pechino fra 2 anni, non fra 2 settimane… Bravo il suo allenatore Chessa a portarla in alto dal punto di vista tecnico, grandi qualità e potenzialità ha poi l’atleta. Ma la Trost non sentiva fino in fondo l’appuntamento e si è visto. Ci è venuto automatico pensare alle lacrime della Rosa, cioé una ragazza brava ma non da medaglia. Quasi superfluo parlare del resto della spedizione azzurra, dopo ciò che abbiamo già scritto sul presidente federale Alfio Giomi. Il quale dai sorrisi ad uso Rai, da noi stigmatizzati, è passato senza problemi all’autoflagellazione. Dice ‘L’Italia mi ha deluso’? Dovrebbe vergognarsi, Giomi, di dire una cosa simile come se fosse un giornalista o un commentatore indipendente. E’ vero che è in carica dal dicembre 2012, ma siccome ha messo il cappello sulla vittoria di Lalli nell’Europeo di cross e sui buoni risultati indoor, dovrebbe almeno avere l’umiltà di mettere anche sé stesso fra i grandi sconfitti di questa spedizione in cui quasi nessun azzurro è stato ai propri migliori livelli stagionali. E adesso impressioni finali su questi Mondiali con protagonisti annunciati come Bolt e Farah, proprio per questo ancora più bravi a confermarsi.

1. Il problema è questo: non si pretende che Tumi batta Bolt, ma almeno che nell’appuntamento più importante della stagione dia il meglio di Tumi (10”19, stando al cronometro: per me può andare ben oltre). Invece nemmeno è sceso in pista nei 100, mentre nella 4 per 100 ha offerto una buona prova così come i compagni (fuori in batteria ma con un 38”49 che è l’ottava prestazione italiana di sempre). Mi sono piaciute, per l’atteggiamento, anche le due 4 per 400. In quella femminile metterei la Grenot, la migliore a livello individuale, in prima frazione in modo da non partire sempre ad handicap. Nella 4 per 400 avere una buona posizione aumenta le energie di chi corre alla corda. Comunque brave, squalifica a parte, e bravi.

2. Siamo curiosi per la rivoluzione tecnica annunciata da Giomi per metà settembre. In realtà la prima rivoluzione sarebbe portare in buone condizioni gli atleti ad un Mondiale. Per molti appassionati di atletica bisogna portare ai grandi appuntamenti chiunque abbia il minimo, “perché almeno fa esperienza”. I decenni sul campo mi hanno dato però un’indicazione contraria: una figuraccia a livello internazionale, sia pure con la scusa della giovane età, non è che faccia maturare più di una dolorosa esclusione. Anzi: di solito, una eliminazione in batteria senza chance di passare il turno porta nell’atleta frustrazione e desiderio di chiudersi nel suo orticello dove può essere protagonista. Poi ci sono singoli casi in cui un talento può e deve essere gettato nella mischia in ogni caso, ma si tratta di eccezioni.

3. Non si dimetterà Giomi e non si dimetterà nemmeno il direttore tecnico Magnani. Premesso che la Straneo ha onorato l’Italia con una prestazione e una storia personale eccezionali, conoscere la maratona come Magnani non significa conoscere l’atletica su pista (track and field, non road). Alla cui base, in quasi tutte le specialità, ci dovrebbero essere lavori sulla forza: non proprio il pane quotidiano dei maratoneti. Il salto di qualità internazionale deve arrivare da lì. Essere bravi in una sola materia non assicura la promozione, né a scuola né nell’atletica. La tentazione di Giomi è quella di assumere tecnici stranieri per specialità da anni depresse, come il giavellotto o le prove multiple, ma chi non porta un solo finalista in una gara individuale di corsa che preveda batterie dovrebbe farsi domande di carattere più generale.

4. Un grosso problema è sempre quello delle società militari, alle quali sono affiliati quasi tutti gli atleti di vertice. La loro selezione non è qualitativa, come si è visto anche da certi tempi e certe misure agli Assoluti di Milano, ma soprattutto gli atleti pretendono di rimanere a casa propria andando a Formia o ai raduni il meno possibile. Non è che io sia fissato con Formia, che comunque ha dato basi tecniche a generazioni di allenatori, ma lo sono con lo scambio di informazioni e con il confronto continuo. Chi non ha stimoli, al di là dello stipendio statale assicurato, non migliorerà mai. E sentire dopo ogni eliminazione la litania dei ringraziamenti al colonnello Tizio e al maggiore Caio (mai al contribuente, però) è francamente irritante.

5. Il presidente federale ha messo nella colonna dei ‘cattivi’ anche i siepisti, che in effetti hanno offerto tre prestazioni modestissime. Di sicuro gli brucia di avere perso la faccia per uno come Chatbi, che dopo tre anni di stop per doping ha scelto l’Italia invece del suo Marocco e Milano invece della sua Bergamo. Va bene che la nuova società di Chatbi, la Riccardi, è fra quelle che sostengono Giomi, ma la figuraccia rimane. E i discorsi sui cosiddetti ‘nuovi italiani’ valgono in questo caso poco. Quindi vedo solo vecchi metodi, questi sì italiani.

6. Fare il conteggio delle medaglie (l’Italia è 26esima in classifica) è un’operazione un po’ superficiale, che fa perdere di vista la situazione globale. In uno sport universale come l’atletica, dove il singolo fenomeno può nascere in un’isoletta sconosciuta (se Roberto Baggio, ragazzo che che ho ben conosciuto di persona e con cui ho lavorato tanto, fosse nato a St. Kitts and Nevis è probabile che nel calcio non sarebbe diventato Baggio) e senza bisogno di chissà quali strutture, le medaglie possono vincerle in tanti e la concorrenza è enorme. Il problema è il livello medio, davvero mai così basso. Colpa non solo dell’attuale federazione, che comunque ha tanti punti di contatto con quelle vecchie (Giomi era vicepresidente con Gola) ma di decenni di errori ad ogni livello: reclutamento, formazione dei tecnici, diffusione della cultura, incentivi, programmazione degli appuntamenti di vertice. Se l’atletica regina degli sport non è una frase fatta bisogna intervenire in ognuna di queste aree, diversamente si può andare anche avanti così. Qualche medaglia arriverà lo stesso, ma a nessun ragazzo davanti al televisore verrà in mente di praticare questo meraviglioso sport.

Carlo Vittori, in esclusiva per Indiscreto

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