Il sogno possibile di Parisini

8 Luglio 2013 di Oscar Eleni

EleniOscar Eleni da una triste sala cinematografica di New York che sembra quella di Edward Hopper, nel ricordo di unteatrino molto simile nel cuore di Bologna dove Piero Parisini cercava di farci capire che non esiste un lago dove possano nuotare gli ignoranti, quelli che dallo sport hanno preso tanto e regalato poco. Doveva essere una puntata su pensieri e confessioni nell’estate dei pentiti che ammettono le loro colpe, ma poi cacciano via gli altri e li trattano pure con disprezzo. Ora siamo qui a piangere sulla nostra Spoon River dei canestri perché ci ha lasciato un altro grande, uno che  aveva fede nelle idee, nella cultura, ma ammetteva anche i peccatori  come noi al suo tavolo dove ogni religione era onorata, dove ogni cosa ben fatta era goduta, ma senza dimenticare che esiste una critica anche per le cose che sembrano perfette.

Se ne è andato nella notte di sant’Ilidio di Clermont, accompagnato dalla Mitica che era coscienza e anima per lui rimasto tanto tempo al freddo di via Livraghi, accarezzato da Pietro Ta Rot, martire della Papuasia. Addio, ma non per sempre, caro Piero Parisini, il vero Papa dei canestri, l’uomo di via San Felice, della grande Fortitudo che cercava un’anima persino nel professionismo avariato, senza mai dimenticare la casa madre, Picchio e Bergonzoni, Angelini e il Barone, l’idea che ne aveva fatto una società sportiva speciale, tradita nel tempo dal lusso, da chi non ha memoria, il magnifico rettore di una Lega che farà persino fatica a ricordarlo. Anche se è sulle pietre che ha prima scavato e poi fissato lui che si fonda ancora oggi quello che resta di un associazione dove chiedono pace soprattutto quelli che hanno istigato alla guerra, trovato credito per una fiera in più, cercato idee nel pozzo senza fondo dove hanno sperperato il tesoro lasciato in eredità dai padri fondatori.

Ciao Piero, sei stato luce, un grande amico, qualcuno a cui si poteva voler bene anche se per educarti era obbligato a trattarti un po’ male: una sera, in una sala bolognese dove era aperto il dibattito sul basket ai tempi del Simmenthal che diventava campione d’Europa, dell’avvocato romano Claudio Coccia che fece la rivoluzione per il doppio americano, fece di una piccola federazione una cosa con più respiro, della Lega un mondo dove si poteva anche copiare dai Parisini senza per questo sentirsi sminuiti, insomma una notte di quelle speciali che ti regalava basket city, quelle dell’alba ascoltando il Beppe Lamberti che del nostro Papa era diacono, filosofo del campo, fratello di sangue  per derby che non finivano mai anche se dall’altra parte c’era tutto, quelle dove tutti vincevano, almeno a parole, ecco, in una di quelle seratine così ricche come la tagliatella con tanta forma del Diana, di Bertino, che lo faceva impazzire quasi più dei ciccioli del salumiere del borgo antico vicino all’osteria dove potevi bere bene, se ti portavi il mangiare da casa, e noi lo facevamo,nel tripudio degli applausi per il potente ci fu il canto misero del giovane galletto.

Contestazione con parole trovate nei posti peggiori come capita ai contestatori miopi del sito che ha un direttore pieno di fantasie positive anche se dobbiamo confessargli che il suo libro sui paninari ci ha fatto diventare inquieti e più vecchi. Piero il moderatore capì subito che il giovanotto in giacca blu stava andando alla deriva. Lo salvò, ma poi lo tenne sveglio fino al mattino seguente. Lezioni. Con Parisini era bello ascoltare, anche se lui  aveva il dubbio che ci si potesse distrarre. Allora correva via, andava a stampare quello che pensava e ne faceva dono ai viandanti. L’ultimo lavoro vero dovrebbero averlo anche i federalotti del volemose bene che ieri hanno coperto d’oro Pianigiani che avrà quello negatogli da Milano dove lo avrebbero preso a metà del prezzo pagato per i video di Scariolo, un prezzo alto come denunciano gli arancioni del sempre inimitabile Bell che doveva pur sfogarsi con qualcuno della Siena che lo ha messo da parte, ma forse ha ragione lui quando dice che paragonato al sistema clacio, allo stipendio di Prandelli, cioè un decimo, avrebbe dovuto percepire 150 mila euro, pur sapendo che a quella cifra non avrai ma nessuno a tempo pieno e forse neppure part time.

Era un piano, quello di Piero, per la rivoluzione dei campionati, un lavoro essenziale, stupendo che avrebbe fatto risparmiare soldi e brutte figure a chi adesso cavalca il drago di gomma delle leghe oro e argento mentre al piano di sopra fanno i saldi e Milano se la gode, poi ci daranno lezioni, per adesso delimitano il cammino verso il santurio dello scudetto che è nell’altro secolo. Capito il trucco? Nell’anno in cui l’eurolega assegna a Milano la finale di coppa il Portaluppi, portatore sano del ricordo sbiadito in scarpa rossa, ci dice che il vero  obiettivo è lo scudetto. Basta che altre due o tre avversarie mettano fuori il cartello vendesi fuori stagione e il capolavoro sarà fatto. Loro, alla corte di Livio e di re Giorgio, pagano gli stipendi e allora perché dannarsi a combattere, tanto, prima o poi, ce la faranno e Tanjevic la smeterà di telefonare dicendo cento volte “finalmente”.

Ecco Boscia piangerà come noi il Piero Parisini che ha conosciuto tardi, ma di cui, sicuramente, gli aveva parlato il Giancarlo Sarti passato nel giardino della Fortitudo prima di fare la reggia e il capolavoro di Caserta con Maggiò. Lo piangeranno in tanti, ma noi non ci riusciamo. Per paura di essere presi ancora una volta per i capelli e trascinati davanti all’alma mater per purgarci di questo sentimentalismo che non va  bene nella nostra Spoon River.

No Piero non era abulico come tanti di noi, sapeva essere atletico più di molti bulli da strada e da scrivania, lui che aveva domato palle alte difficili nel suo amato baseball,non era  come i buffoni che fingevano di ascoltarlo, come gli ubriaconi che ciondolavano le teste vuote al suo ultimo assalto sulla linea del fiume sacro attraversata con l’onorevole Tesini, con il progetto riuscito della Furla dopo aver trovato udienza dal signore di un marchio che voleva essere generoso, ma non adulato, non era rissoso anche se, ogni tanto, gli scappava l’anatema. Lo ha rubato la medicina di cui sapeva tutto, lo ha rapito la metastasi schifosa del tempo che lo faceva vivere male, bruciato nella miniera delle grandi idee non recepite. Ora lui dorme, come tanti che abbiamo già accompagnato verso l’ultima dimora, sulla collina del nostro amore per sempre.

Se ci sente usi pure il pianto di Lee Masters per Perry Zoll. Può servire per togliere un peso dalla pancia dei nuovi venuti in cestolandia e nella  Lega  a cui diede voce prendendo a poco prezzo le telescriventi Ansa dismesse per collegarsi con il mondo antico che lo circondava. In quel saluto  c’è anche il nostro Piero:

Vi ringrazio, o miei amici delle associazioni che si occupano di basket e di sport, per questo tumulo e la modesta targa in bronzo (La faranno? Mah. Ndr). Tante volte cercai di unirmi a voi, ma  era facile essere respinti, confinati, ma fra casa Fortitudo, Fernet Tonic, Roma, Forlì,  quasi tutte camminate in altura con la fantasia di Angelone Rovati che adesso, come fece a Forlì, come ha fatto sempre cominciando dalla pista troppo ricca dei Gardini, mi farà dirigere  un aeroporto anche nel suo purgatorio, non vedevate l’ora del distacco con sorriso. So che i miei lavori sull’intelligenza del giocatore di basket, sul dirigente di pallacanestro, sulle piante che non devono mai essere troppe, ma neppure poche e per questo devi seminare, innaffiare, capire, sentire, ospitando nidi, ma anche aiutandoli a far crescere i rondonotti, insomma quello che scrivevo stava per farvi cambiare idea, ma poi ci avete ripensato. Ho sofferto, ma ho capito. Altri, molto più bravi di me, sono stati emarginati senza colpa e mandati via. Sono creciuto senza aver bisogno di voi, o almeno ho provato a farlo. Tuttavia non respingerò la piccola lapide perché mi accorgo che se faccessi così, vi priverei dell’onore che voi fate a voi stessi.

Ciao Piero. Andandotene non ti vogliamo annoiare sulle storie nostre. Certo si fa una gran fatica a capire questi uomini nuovi. Parlano, parlano e poi si vendicano se invece dell’inchino sentono in lontananza le risate. Due o tre vicende da  proporre ai grandi che troverà oltre il muro.

A Milano Livio Proli si è cosparso il capo dei cenere, faceva nuance con il resto, ammettendo che tutti hanno sbagliato: dirigenti, giocatori, tecnici, persino chi stracciava i biglietti. Se ne sono andati quasi tutti, meglio, li hanno licenziati con le buone e anche con le cattive. Non loro, non lui che doveva fare passi indietro e ora vigila sul lupo Portaluppi che sembrava core ingrato persino all’ex proprietario e presidente Gabetti quando si sentiva chiedere i 15 euro d’ingresso per la tribuna dove una società per bene avrebbe posti d’onore a vita per chi l’aveva onorata davvero.

Lo stesso Proli dai rossori inquietanti ha reagito male quando Fabrizio Frates, cacciato come il vero colpevolole dei flop nel cinema Scariolo, ha fato sapere che nella Olimpia ha notato una conduzione dirigenziale mai vista prima. Non era un complimento, ma almeno era una piccola spina tolta dal piede dell’architetto che ora capirà cosa si guadagna a tacere con certi avversari. Furore proliano e battuta da decrittare:” La cosa strana saranno anche stati gli stipendi pagati regolarmente….”

Ohibò. Allora quando giravano le voci su tanti stipendi in ritardo, persino a Siena, allora loro sapevano che c’era solo una cassa continua, quella di Armani. Loro sapevano che gli allenamenti blindati  erano fatti male. Sapevano tutto, troppo, ma non ci hanno mia detto perché Frates alla porta e Scariolo alla cassa. Mistero. Ora Banchi apre tutto, eviti di far passare dalla porta, però, i tarli acca che potrebbero rovinargli il viaggio come ha fatto Istanbul con il Pianigiani che  si riteneva, che giustamente ritiene, di essere fra i grandi invincibili.

Caso Roma ancora più emblematico. Non possiamo credere che la lite originaria del divorzio in casa fra l’allenatore Calvani, bravissimo, e il manager, Alberani, lavoro eccellente, sia scoppiata perché il primo ha negato un posto a tavola con i giocatori alla fidanzata del secondo come dice radio serva. Se  fosse vero saremmo davvero delusi. Non stupiti per l’epilogo perché il Toti ha sempre fatto più o meno così quando doveva separe i cattivi dai buoni. Ora non vogliamo cambiare idea su Alberani e neppure sul trapezista Dalmonte che ha accettato di andare a dirigere una squadra che, se proprio dovesse andare bene, non potrà mai fare meglio di questa arrivata in finale. Loro lo sanno, ma vanno in campo lo stesso. Bravi, coraggiosi. Non avevamo dubbi. Bravissimo Calvani che nel congedo ha scritto una lettera che Proli sogna da sempre guardando le teste mozzate sul grande ponte che porta alla Torre d’amianto del Lido: “Grazie del vostro affetto, ma prima di tutto viene l’affetto per la società e per il presidente che da 12 anni le permette di sopravvivere (anche se spesso mancano i viveri, le idee e le munizioni. Ndr).

Il mercato frigge. Milano ha i soldi e va in caccia di chi l’ha fatta piangere spesso: Dunston, o un giocatore di quel valore, sarebbe una scelta giusta. Travis Diener è geniale, bravissimo, ma, per carità, fermate subito il blasfemo che vede in lui un Mike D’Antoni. Per esserlo gli manca davvero il senso della difesa che, forse, imparerà con la nazionale anche se Sacchetti ci provava, ci soffriva ma non poteva esagerare perché la panchina era corta, certo come qualità tecniche di tiro, più che di passaggio è meglio di Arsenio. Insomma sarebbe un bell’acquisto, ma con tara incorporata e dopo non dite che…

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