Basket
Il senso della NCAA
Stefano Olivari 12/03/2012
di Stefano Olivari
Il declino del basket NCAA è iniziato a metà anni Novanta, con il passaggio diretto dall’high school alla NBA di stelle annunciate come Kevin Garnett (draft ’95), Kobe Bryant (’96) e Tracy McGrady (’97): non fatti inediti, basti pensare a Moses Malone e Darryl Dawkins, ma questa volta indicatori di una tendenza generalizzata: il college come parcheggio da evitare o da limitare a un anno, secondo le regole attuali (introdotte dal draft 2006). Parliamo ovviamente di chi si si può permettere di scegliere, con le permanenze più lunghe che sono consigliate solo dalla limitazione a due (e quindi a 60 chiamate) dei giri di draft. Questo non toglie che che questo basket sia ancora quello più vicino allo spirito del gioco, con i commoventi due tempi di 20 minuti e i 35 secondi di limite per azione che costringono a pensare anche i più individualisti in campo.
Per questo vale la pena anche quest’anno di mettere in pericolo rapporti personali e di lavoro guardando quanto più possibile del torneo finale che inizia domani con i turni preliminari e che ieri è stato anticipato dalle ultime finali delle varie conference ma soprattutto dalle ‘selezioni’ di chi non si è guadagnato il biglietto vincendo il proprio torneo. La curiosità è che fra le quattro prime teste di serie (ogni quarto del tabellone ha una numero uno, una numero due e così via fino alla sedici) solo una, la Michigan State di Tom Izzo, ha vinto il proprio torneo di conference, mentre a sopresa lo hanno perso la favoritissima Kentucky di John Calipari, la Syracuse di Jim Boeheim e la North Carolina di Roy Williams. Il Selection Sunday si presta tantissimo al bar, perchè quest’anno le squadre con più di 20 vittorie nella stagione (in genere le partite totali sono poco più di 30) sono state 112 (con le squadre eliminati ai preliminari il tabellone è a 68) e il comunque utilissimo RPI (un sistema matematico di rating che tiene conto del proprio record, di quello degli avversari e di quello degli avversari degli avversari, con una formula che vi risparmiamo) non dice tutto visto che molti record possono essere costruiti. Chiudiamo quindi con una considerazione da bar: la Ohio State di Jared Sullinger (giocatore dell’anno, fra l’altro) è stata sottovalutata, si trova dalla parte di Syracuse ma ha tutto per festeggiare il 2 aprile a New Orleans.
Twitter @StefanoOlivari



