Il sempre giovane Morello

2 Luglio 2020 di Gianluca Casiraghi

L’Inter dei record dello scudetto 1988-1989 ha per i tifosi i volti dei vari Matthäus, Brehme, capitan Bergomi, Serena, Diaz e via dicendo. In quella squadra fortissima c’era anche Dario Morello, il “Giovane Morello”, come era stato definito quando Trapattoni l’aveva fatto esordire in prima squadra a Verona nella stagione precedente, da attaccante classe 1968 della Primavera.

Morello, oltre a essere stato tra i protagonisti (10 buone presenze) di quello scudetto storico, forse il più iconico per i colori nerazzurri, ha avuto una carriera interessante per uno che possiamo tranquillamente annoverare, senza offendere nessuno, tra la classe media dei calciatori di quel periodo d’oro del calcio italiano, sempre rimpianto dai tifosi per i successi ottenuti e il gioco espresso.

Morello vive oggi con la sua famiglia a Reggio Emilia, una delle altre tappe essenziali della sua carriera, città in cui dirige una scuola calcio, la Morello football school, aiutato dal figlio Simone. Con Indiscreto l’attaccante nato a Lecce, ma cresciuto a Milano, ha parlato del suo calcio e di una carriera in cui ha frequentato tanti grandissimi: da Matthäus ad Allegri, da Corso a Squinzi.

Dario, se i geni hanno un valore tu nasci in una famiglia in cui si viveva a pane e calcio.

Possiamo dire benissimo così. Mio papà Luigi tra gli anni Quaranta e Cinquanta ha militato in Serie C con il Lecce e il Trani, era una mezzala talentuosa ma allo stesso tempo con tanta corsa ed era soprannominato Cavallo pazzo. Ha avuto cinque figli, una femmina e quattro maschi: io e i miei fratelli maggiori, Massimo, Antonio e Claudio, abbiamo tutti giocato a calciocon buoni risultati tra professionismo e dilettantismo di alto livello. Antonio detto Tony, centrocampista di talento, tu lo conosci benissimo per essere stati compagni di squadra nella Vapriese. Io sono quello che è arrivato più in alto di tutti, però non nascondo che probabilmente all’inizio delle nostre carriere ero quello tecnicamente meno dotato, la tecnica l’ho migliorata con il passare degli anni”.

Al calcio che conta tu arrivi relativamente tardi, soltanto poco prima dei 18 anni passi dall’Uri Milano, società satellite dell’Inter e la possiamo anche definire scherzosamente una succursale della famiglia Morello perché ci avete militato tutti e quattro, proprio all’Inter.

Forse perché non eccellevo tecnicamente, al contrario delle qualità atletiche che già erano evidenti, mi hanno notato tardi. Tra l’altro ho un aneddoto da raccontare sul mio passaggio all’Inter, che il presidente dell’Uri Ferrari mi ha raccontato soltanto qualche anno fa. In corsa per avermi c’era anche il Milan, e Ferrari è uno sfegatato tifoso milanista, ma mi ha ceduto all’Inter in virtù dei rapporti sportivi che c’erano tra le due società. Non potevo chiedere di più da giovane calciatore e tifoso dell’Inter, vestire la maglia nerazzurra”.

Ci sono state difficoltà nel passare da una realtà dilettantistica a una professionistica?

Non particolari, la prima stagione nella Beretti allenata da Enea Masiero è stata di buon livello e ho anche giocato alcune partite nella Primavera di Mariolino Corso, sembrava fossi in trampolino di lancio e, invece… Dovevo passare alla Primavera e la dirigenza si mise a cercare un attaccante, probabilmente non credevamo in me; sulla panchina era stato promosso dagli Allievi Gianpiero Marini che disse: voglio Dario come attaccante e se in tre anni non esordisce in Serie A straccio il patentino di allenatore”.

E l’ex mediano Mundial del 1982 aveva ragione perché già prima dei tre anni vaticinati c’è l’esordio nel massimo campionato con l’Inter.

Stagione 87/88, a febbraio sono in panchina a Verona e Trapattoni mi fa entrare nel secondo tempo al posto di Massimo Ciocci. Il sogno si è avverato, in Serie A con la maglia della squadra per cui tifo”.

Con Ciocci sarà il primo di un due di incroci.

Nell’estate del 1988 Trapattoni per completare il reparto d’attacco dovette scegliere tra Ciocci e me e scelse il sottoscritto. Massimo dovette lasciare l’Inter ma dimostrò di essere un attaccante di Serie A con la maglia del Cesena”.

Il “Giovane Morello”, come fosti definito in quelle stagioni nerazzurre, è definitivamente un giocatore da Inter e sta per vivere il campionato dei record dell’Inter, 58 punti in un campionato a 18 squadre che valgono il tredicesimo scudetto.

Fu un’annata piena di cose belle ovviamente ma anche di ombre, perché mi fratturai il perone e restai fuori squadra per 4 mesi. Gli episodi positivi sono molti di più: il primo gol in serie A contro la Cremonese, l’esordio da titolare in Coppa Uefa in Svezia al posto di Ramon Diaz: il Trap aveva preferito me per dare fastidio con la mia corsa alla difesa svedese e lo ripagai segnando il gol vittoria a un quarto d’ora dalla fine. E la più bella, vincere lo scudetto e festeggiarlo a San Siro dopo il successo 2-1 sul Napoli. Da tifoso che andava allo stadio allo scudetto sulla maglia, il sogno di una vita che si realizza”.

Di quella squadra fantastica con chi andavi più d’accordo?

Senza essere retorico, c’erano tante persone meravigliose, da Malgioglio a Baresi, Matteoli, Ferri, Matthäus, Brehme, per dirne alcune. Alessandro Bianchi è stato il mio testimone di nozze e con lui mi sento regolarmente, però quello con cui andavo più d’accordo era Alberto Rivolta, altro giovane in quella formazione di campionissimi che purtroppo è scomparso poco tempo fa”.

E nel 1988-1989 ti laureasti addirittura bi-campione d’Italia, un piccolo primato.

Probabilmente sì, vinsi anche lo Scudetto Primavera; ero appena rientrato dall’infortunio e Marini chiese al Trap il permesso di farmi giocare le finali scudetto con la Roma, vittoria 1-0 a Roma e pareggio 1-1 a Milano”.

Ancora un anno all’Inter e un’altra soddisfazione non da poco.

“Certo, aver vinto la Supercoppa Italiana a San Siro contro la Sampdoria giocandola da titolare al fianco di Aldo Serena”.

Finisce l’esperienza all’Inter e decidi di scendere in Serie B nella Reggiana e Reggio Emilia si rivelerà una tappa fondamentale della tua carriera.

Tutto vero, anche perché è la città in cui vivo e lavoro; ho militato nella Reggiana in due periodi diversi: quello dal 1991 al 1994, con tante soddisfazioni tra B e A, e quello tra il 1998 e il 2001 che voglio dimenticare, la seconda è una scelta dettata dal cuore che non dovevo fare. Ma passiamo ai ricordi belli. Con la Reggiana avevamo già sfiorato la promozione in A nel 1992 e l’abbiamo conquistata l’anno successivo, un ritorno nella massima serie dopo quasi 70 anni, con Pippo Marchioro come allenatore”.

Un ricordo personale: nel maggio del 1993, alla fine di quella stagione per voi trionfale, venni a Reggio Emilia con la Vapriese, squadra di Prima categoria lombarda, in cui militavo insieme a tuo fratello Antonio, proprio lui aveva organizzato questa amichevole di lusso per noi, come premio di fine campionato. Fini 10-0 per voi della Reggiana, ma fu un’occasione più unica che rara sfidare una squadra del vostro livello, per me fu l’unica volta nella mia onesta carriera, e mi viene in mente un tuo bellissimo gol, dribbling e staffilata di sinistro da fuori area all’incrocio.

Me la ricordo benissimo quella partita contro di voi con mio fratello come avversario, e dirò anche di più, era bello che nel pre campionato o durante la stagione ci fossero queste partite tra squadre di serie A e B e di dilettanti, cosa che sì è persa da parecchi anni. Adesso le grandi già ad agosto si sfidano tra loro o con i migliori club europei e mondiali“.

La Serie A l’avevi conquistata da protagonista, sempre presente in tutte e 38 le partite del campionato 1992-1993 di B, e l’hai difesa insieme ai tuoi compagni nella stagione successiva.

Era una Serie A di livello mostruoso. Milan, Juve, Inter, Napoli, Parma, per citarne alcune, erano autentiche corazzate. Esordimmo a San Siro contro l’Inter e perdemmo, immeritatamente, 2-1, feci l’assist a Michele Padovano che fu il nostro leader. Un campionato all’insegna dello stadio Meazza, che era stato il mio, perché la salvezza la conquistammo battendo il Milan 1-0 nella famosa partita contestata dal Piacenza, che era in lotta con noi, per il presunto scarso impegno messoci dai rossoneri che erano già campioni d’Italia”.

Dal granata della Reggiana passi ad altri colori storici. In rossoblù due campionati nel Bologna e due nel Genoa.Bologna è stata una scommessa, accettavo di scendere in C1 sapendo, in cuor mio, che saremmo saliti in B e, invece, facemmo di meglio, due promozioni consecutive sino alla A e nell’anno della Serie B, il 1995-1996, la cavalcata in Coppa Italia sino alla semifinale persa con l’Atalanta di Bobo Vieri, eliminando Verona, Roma e Milan, di cui ricordo soprattutto il mio gol nella vittoria di Roma. Pensavo di restare in serie A a Bologna, invece mister Attilio Perotti mi volle al Genoa dichiarando che “Con Morello torneremo in Serie A” e accettai la sua corte. Purtroppo, la A la sfiorammo soltanto per un punto nella seconda stagione, però i ricordi di aver indossato la maglia della società più antica di Italia e di aver ascoltato dal campo l’urlo del pubblico di Marassi saranno sempre nel mio cuore”.

Saltiamo a piè pari il disastroso ritorno alla Reggiana, vai in Scozia ma al Dundee United, ci resti soltanto due settimane, perché?

Non arrivò il transfer e poi c’erano difficoltà logistiche, io dovevo stare a Dundee e mio moglie con mio figlio Simone a Edimburgo per la scuola e lì in inverno nevicava molto. A malincuore risolsi il contratto e rientrammo in Italia: sarebbe stata una bella sfida in un calcio genuino dove si viveva ancora il contatto con i tifosi”.

Ecco gli ultimi anni di carriera tra C e dilettanti con Viterbese, Brescello, Sassuolo, Bagnolese e Formigine, con l’ultimo lampo a Sassuolo.

Ho avuto la fortuna di vivere i primi anni di patron Squinzi e ho segnato il gol vittoria nell’andata dei playout con la Pro Vercelli che abbinato allo 0-0 del ritorno ci ha regalato la salvezza. E da lì in poi con l’arrivo in panchina di Massimiliano Allegri è cominciata la scalata neroverde sino alla Serie A”.

Dopo aver appeso le scarpe al proverbiale chiodo cosa hai fatto?

Ho allenato e sono stato direttore tecnico delle giovanili in varie società emiliane, Formigine, Correggese, due splendidi anni al Parma come collaboratore tecnico della Primavera e degli Allievi e lì ho imparato tantissimo, peccato ci sia stato il fallimento; infine due stagioni tra i dilettanti a Reggio e a quel punto ho deciso di aprire la mia scuola calcio con Marco e Giorgio Cremaschi e mio figlio Simone, scuola in cui mi aiutano anche i miei fratelli, affiliata all’Associazione italiana calciatori giovanili. Ci occupiamo di ragazzi ovviamente ma abbiamo anche una Senior football school, aperta ai calciatori dai 20 ai 60 anni, che credo sia unica in Italia”.

Sei soddisfatto della tua carriera?

“Forse qualcosa in più l’avrei potuta ottenere, non ci voleva l’infortunio al perone nell’anno dello scudetto, però sono cose che spesso fanno parte di una carriera. Se potessi tornare indietro non farei alcune scelte, sicuramente non ritornerei alla Reggiana la seconda volta, ho ascoltato solo il cuore e non il cervello. Ma le soddisfazioni superano i dispiaceri”.

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