Il salto di Farah

27 Agosto 2012 di Stefano Olivari

Vedendo Mo Farah scherzare ieri a Birmingham nelle due miglia, distanza non proprio nelle sue corde (si tratta di poco più di 3.200 metri), senza preoccuparsi del record britannico di Steve Ovett (!) che resiste dal 1978 (!!!), viene da chiedersi come quello che fino a 25 anni in pista era un comprimario (ai Giochi di Pechino non riuscì ad arrivare nella finale dei 5mila) adesso sia un atleta quasi imbattibile in ogni tipo di gara: sul passo, sugli strappi, con volata in progressione, con sprint secco. Non che arrivasse dal nulla, visto il suo passato nel cross (campione europeo nel 2006 a San Giorgio a Legnano, in una memorabile edizione del Campaccio), ma all’epoca gli africani veri (lui è di nascita somala, ma ha praticamente sempre vissuto in Inghilterra) erano lontanissimi. Cosa è quindi accaduto, che possa essere di ispirazione anche per Daniele Meucci che a Birmigham è stato brillantissimo secondo e che è l’unico azzurro a pensare davvero in grande? Memore del fatto che la prima svolta della carriera era avvenuta nel 2005 con un periodo di allenamento in Kenya vivendo davvero come i kenyani e non in un resort a cinque stelle, nel febbraio 2011 Farah ha preso armi e bagagli e si è trasferito a Portland alla corte di Alberto Salazar, icona del maratonismo anni Ottanta (tre volte vincitore a New York e una a Boston) e adesso coach stipendiato dalla Nike che segue atleti quasi tutti americani (Galen Rupp, l’argento olimpico nei 10mila proprio dietro a Farah, il suo capolavoro, ma fra gli atleti da lui seguiti noi siamo grandi fan del miler Matthew Centrowitz) con metodi non certo rivoluzionari, almeno stando alle tabelle di allenamento pubblicate da Track & Field, ma che presentano alcuni tratti comuni nei ‘prodotti’ usciti dall’Oregon: perdita di massa grassa, aumento moderato della muscolatura, gestione dei cambi di ritmo prima ancora che ricerca di temponi fini a se stessi. E al momento il discorso doping è confinato a perplessità della WADA sulla preperazione in altitudine e sulle camere che simulano l’altitudine, parte integrante dei ‘metodi’ di Salazar. Mai però sospetti più pesanti, né tantomeno positività. E poi Farah è uno che un passato ce l’ha, come detto, nel cross e nelle indoor: quanto all’atletica in pista ‘vera’, i due ori di Londra sono arrivati dopo l’oro (5.000) e l’argento (10mila) di Daegu e anni da protagonista almeno in Europa. Conclusione? Parlando di tempi, sui 10mila il Farah del 2010 valeva quanto il Meucci di oggi. Il salto di qualità si può fare, ci crede anche Meucci che non a caso sta mettendosi in gioco su distanze più brevi delle sue, come l’Alberto Cova di trenta anni fa, invece di pensare a fughe in avanti nella maratona.

Twitter @StefanoOlivari

Share this article