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Il rischio degli autonomi

Stefano Olivari 18/05/2011

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di Stefano Olivari

Gli scommettitori professionisti raramente impegnano su un singolo evento più dell’uno per cento del capitale, ma non è certo con lo ‘smart money’ (traduzione grossolana: soldi puntati usando la testa) che il banco prospera. Qual è dunque il profilo preferito del dilettante, dal punto di vista del bookmaker?
Prendendo per buoni i form di iscrizione, il giocatore statisticamente più perdente sulle scommesse sportive ha in ogni parte del mondo tre caratteristiche: maschio, di scolarizzazione medio-bassa, lavoratore autonomo o imprenditore. I pay-out, cioé le percentuali sulle giocate che ritornano ai giocatori, con soggetti del genere sono in media di circa il 5% inferiori alla media a parità di bookmaker: e il 5% calcolato su centinaia di milioni di euro non è poco. La spiegazione della statistica potrebbe essere che il maschio, a parità di ogni altra condizione, ha la presunzione di saperla sempre più lunga senza informarsi più di tanto. La moglie gioca sul Milan perché conosce solo il Milan, il marito si picca di conoscere anche le condizioni fisiche del Rosenborg. Scolarizzazione medio-bassa significa di solito non comprendere i pochi principi matematici che servono per non rovinarsi, mentre è interessante il discorso sul tipo di lavoro: viene in mente la teoria di Michael Franzese, l’ex boss mafioso americano diventato consulente dell’FBI per il gioco d’azzardo. Franzese, che conosceva personalmente molti atleti scommettitori, sosteneva che quelli degli sport individuali avessero una propensione al rischio enormemente superiore rispetto a quelli degli sport di squadra.

stefano@indiscreto.it
(pubblicato sul Giornale)

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