Il più grande miracolo dopo il Big Bang

27 Settembre 2013 di Stefano Olivari

Le persone molto atee, ammesso che si possa essere ‘molto’ atei, assomigliano a quelle molto religiose in un tratto fondamentale: mai sono assalite dal dubbio. Dopo aver letto L’illusione di Dio – Le ragioni per non credere, di Richard Dawkins, si esce più arricchiti che dalla lettura di un Odifreddi, non fosse altro che perché Dawkins affronta il tema in senso ampio e non si limita al facile compitino anti-cristiano (ci fosse uno di questi fenomeni da salotto che scrivesse delle incongruenze del Corano…), ma rimane la sensazione di avere a che fare con un fanatismo scientista che inquieta quanto il suo presunto nemico. Anche perché si rifiuta di rispondere alla madre delle domande: come è iniziato tutto? Il biologo inglese, professore a Oxford, in questo saggio pubblicato nel 2006 (in Italia per Mondadori: eccellente copertina massonica, a meno che il triangolo non volesse citare Renato Zero; triangolo che nell’edizione originale inglese fra l’altro manca: cosa vorrà dire?), affronta il tema del sentimento religioso sotto vari aspetti, brandendo come una scimitarra un evoluzionismo che riesce ad infilare in ogni ragionamento. Peccato che Darwin e i darwiniani possano sì spiegare tutto, meglio del fraticello che parla per slogan, ma solo a partire da un momento zero e da una massa data. Poi la selezione naturale, le mutazioni, tutto bene: in scienze avevamo sei, mica siamo ignoranti. Nonostante l’impostazione di fondo un po’ talebana, l’opera è però intelligenza allo stato puro. Non si lancia in facili ironie contro la storicizzazione della Bibbia o dei Vangeli, troppo facile dimostrarne le incongruenze anche semplicemente temporali al loro interno, ma va diritto sul tema dell’esistenza di Dio. Passando in rassegna gli argomenti razionali a favore, dalle cinque vie di Tommaso d’Aquino a tutte le altre, oltre a quelli contro. La scrittura è leggera, per niente accademica (oppure accademica sì, ma inglese), con l’astuzia commerciale di buttare lì ogni tanto divertissement storici come quelli su Hitler e Stalin. Se i due criminali erano atei, dice la vulgata, significa che l’assenza di religiosità porta anche ad una assenza di etica e di nozione di giustizia. Peccato che Hitler fosse cattolico, pur con tutte le suggestioni esoteriche che il nazismo ispirava, mentre Stalin aveva studiato in seminario e solo in età adulta si era allontanato dalla religione: insomma, non proprio due atei. Il tema centrale del lavoro di Dawkins è proprio il legame fra etica e religione. In altre parole, l’ateo è uno che non rispetta niente e nessuno? La risposta del professore è ovviamente no, con argomenti che Bignami sugli agili e storici volumetti con la copertina in cartoncino avrebbe sintetizzato in ‘Gli esseri umani razionali trovano più conveniente il bene del prossimo rispetto al male’. Proponendo studi comparati su atei e religiosi posti di fronte alle stesse situazioni di scelta, Dawkins dà per scontato che l’ateo sia nato con la sua scelta di ateismo e che non sia stato in qualche modo influenzato dalla storia del suo ambiente. Addirittura giudica negativamente le posizioni di teismo (sintesi brutale: esiste qualcosa di superiore, ma senza un disegno), deismo (sintesi brutale, sempre del prof: esiste qualcosa di superiore e forse ha un disegno, ma un culto organizzato non è al strada migliore per comprenderlo) e agnosticismo (sospensione del giudizio), a prima vista (almeno) per noi le più adatte ad esseri razionali. Dawkins è molto convincente nel ridimensionare la funzione consolatoria della religione, mentre lo è meno (infatti ne parla pochissimo) in chiave di mantenimento dell’ordine sociale, sistema universitario compreso. In definitiva un libro riuscito, pur essendo dichiaratamente schierato, che impone di chiederci dove stiamo andando senza nasconderci dietro le abitudini delle religioni tradizionali o dietro la paura anche solo della domanda.

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