Il nazismo che ci sta comprando

11 Gennaio 2011 di Andrea Ferrari

di Andrea Ferrari
Intervista al professore di storia economica Giulio Sapelli, che diversamente dalla maggioranza dei colleghi è molto interessato al presente e poco al politicamente corretto. Temi liberi: la forza del Brasile, l’argentinizzazione dell’Italia, il parassitismo belga, la sottovalutazione del pericolo cinese, l’ottusità del managerialismo...

Al grande pubblico è noto soprattutto per quel “gnocca senza testa” carpito da Striscia la Notizia e riferito a Rula Jebreal, allora collaboratrice di Santoro. Definizione abrasiva in tempi così politically correct, ma non sorprendente per chi conosce Giulio Sapelli e ne ama lo spirito. Professore di Storia Economica, nonché scrittore, editorialista del Corriere della Sera e con una vita passata in giro per il mondo tra università e aziende come Olivetti, Eni, Telecom. Lo incontriamo nel suo studio alla Fondazione Enrico Mattei di cui è attualmente ricercatore emerito, ad alcuni anni di distanza dall’ultima lezione universitaria a cui avemmo la fortuna di assistere.

La crisi che ancora sta attanagliando i paesi più sviluppati pare non aver toccato i grandi paesi emergenti, i BRIC. In Italia si parla soprattutto di Cina e India meno di Russia che viene menzionata in caso di crisi d’approvvigionamento di gas o per l’amicizia tra Putin e Berlusconi. Ancor meno si parla però del Brasile, la nazione che, nonostante tutto, ci è più vicina culturalmente.
“Il Brasile è sicuramente il più affidabile tra i 4, anche l’India lo è ma in misura minore. Il Brasile è il più stabile innanzitutto perché ha avuto 20 anni di buona politica, partendo dal governo di Cardoso, mio collega a Parigi ai tempi della dittatura militare. Lula ha proseguito in quel solco col vantaggio di non avere alle spalle un partito col 5% come Cardoso, ma del 25%. Un altro vantaggio è che la dittatura, pur essendo sanguinaria, ha avuto anche qualche merito, come la grande spinta data all’industria aeronautica che oggi è tra le migliori al mondo. Lula poi ha istituzionalizzato il movimento dei senza terra, creando una piccola e media borghesia contadina, capendo che così ci si salva dagli effetti nefasti del riversamento di tutte queste persone nei contesti urbani. In più è un grande paese esportatore e ha anche enormi giacimenti petroliferi. Infine sta diventando la forza stabilizzante dell’America Latina.“

Senza dimenticare che fra pochi anni avrà Mondiali di calcio ed Olimpiadi…
“Sì, e il mondo si accorgerà sempre più della grandezza di quel paese, pensiamo per esempio ai suoi architetti…Ma un altro dato fondamentale per capire se uno stato sudamericano ha futuro è vedere se la borghesia crede e investe nel proprio paese, in Brasile ciò avviene al contrario dell’Argentina dove i ricchi portano i soldi a Miami e dove hanno avuto la disgrazia del Peronismo. Basti vedere anche quel che è successo pochi anni fa coi Kirchner che han voluto tassare ancor di più gli esportatori di carne per finanziare la spesa pubblica improduttiva. Nonostante tutti i problemi amo molto l’Argentina e mi piacerebbe trascorrer lì la mia vecchiaia, è un paese di persone straordinarie, di grandi intellettuali, anche del mondo ebraico e c’è un grande vitalismo, come han dimostrato quegli operai che han voluto riaprire le fabbriche dopo il default invece di accontentarsi dell’assegno di disoccupazione. ”

E pensare che a inizio anni ’50 era un paese che aveva un reddito pro capite ai livelli della Francia, ma da quel momento in poi decenni di sostanziale non sviluppo.
“Colpa innanzitutto del peronismo, una vera e propria sifilide, che s’è scontrato con le classi dirigenti del mondo finanziario e contro la borghesia contadina. Oltre a questo ci son stati dei mutamenti negli scambi internazionali che l’hanno svantaggiata. Ed infine il radicalismo, un movimento di stampo socialdemocratico europeo che ha espresso anche un presidente come Alfonsine, non è riuscito a diventare egemone.”

A proposito di Argentina, mi viene in mente l’opinione di Luca Ricolfi sulla situazione italiana che secondo lui sta vivendo “una lenta argentinizzazione” più che un rischio di deriva in stile Cecoslovacchia.
“Il nord e il centro dell’Italia sono una grande colonna della cosiddetta “Germania europea”, cioè di una regione che parte dal cuore manifatturiero del continente e che arriva fino a coprire una parte del nostro territorio. Credo che il federalismo fiscale, soprattutto quello demaniale, farà da apripista alla secessione anche perché è probabile che il sud vada alla deriva, in virtù del non controllo del territorio e della mancanza del monopolio della forza da parte dello stato, però è altrettanto vero che se non si fa il federalismo allora il sud trascina il nord nell’abisso, come dice Ricolfi, e quindi la secessione sarebbe anche salutare. Tutto questo è però un fenomeno che va al di là della Lega Nord nel senso che le nostre identità pre-unitarie son rimaste più forti dell’identità unitaria. Tuttavia va detto che il federalismo storicamente nasce per unire, ma ciò vale nei paesi che nascono federali come Stati Uniti e Germania, non come da noi.”

Un fenomeno che pare essersi messo in moto anche in Belgio.
“Sì, anche lì fiamminghi e valloni son divisi, ma ciò che li tiene assieme, più della monarchia, è quell’idrovora di soldi chiamata Bruxelles, piena di funzionari che non servono a nulla se non a rapinare le tasche degli europei. Prima il Belgio prendeva saprofiticamente dalla colonia congolese, adesso da queste istituzioni europee, però c’è una grossa differenza: i congolesi avevano più dignità.”

Tornando all’argomento Bric, vale la pena parlare dell’ultima lettera, la Cina. é d’accordo con chi sostiene che la democrazia arriverà come conseguenza dell’arricchimento della popolazione o invece sarà il suo modello di capitalismo autoritario a corrompere le democrazie occidentali? “La Cina è una dittatura che rientra nel grande filone dei regimi comunisti che abbiamo visto nel secolo scorso. In questo momento sono in una fase di N.E.P. (nuova politica economica) di Leniniana memoria, con la “piccola” differenza che quella Unione Sovietica non era un paese di quasi 1,2 miliardi di persone. Ovviamente ci sono delle differenze, e anche in Cina esistono diverse visioni all’interno della sua nomenklatura, però un dato importante è che quella cinese è una dittatura di stampo militare mentre quella bolscevica aveva un carattere misto. L’errore catastrofico, ai tempi dell’era Clinton, è stato quello di farla entrare nel WTO creando così un’asimmetria incredibile che sta distruggendo una parte d’economia dei paesi più avanzati e soprattutto democratici. A me pare che la Cina sia una riedizione dell’Unione Sovietica con tratti di nazismo e quindi sia un pericolo per la civiltà.”

Quasi che l’America abbia creato inconsapevolmente un mostro…
“A me preoccupa molto l’allontanamento degli Stati Uniti dall’Occidente; è significativo che Hillary Clinton il primo viaggio l’abbia fatto in Cina e non in Europa. Un errore strategico loro, ma anche nostro, che si rischia di pagare carissimo. Tuttavia in Cina i conflitti sociali son in aumento nonostante una repressione feroce e credo che non andranno molto lontano: hanno una grande carenza di lavoratori qualificati e le aziende ed il sistema bancario non sono così sani come vogliono far sembrare. Hanno un grande bisogno di know how e la gran parte delle loro esportazioni è fatta da multinazionali americane ed europee che lavorano lì. Anche le loro statistiche sull’economia secondo me sono false, se fossero vere dovrebbero consumare 5 volte l’energia elettrica che consumano, quindi è un po’ difficile discutere in modo scientifico della loro economia. Però sono certamente una grande pot
enza e rappresentano una nuova forma d’imperialismo in un’area che diventa sempre più importante come l’Asia.”

Secondo diversi economisti la Cina non sta facendo altro che attuare una politica mercantilista tenendo artificialmente basso il cambio dello Yuan.
“Beh, ma è una cosa per niente sorprendente. E’ uno stratagemma usato per certi versi anche dall’Unione Sovietica che faceva un po’ quel che voleva non rendendo convertibile il rublo e manovrando la ricchezza che le derivava dal petrolio incrociando l’andamento del prezzo internazionale del greggio con la rivalutazione del rublo. La vera questione di fondo è che non si vuol fare la guerra contro di loro, 100 anni fa si sarebbe fatta. La grande occasione persa è stata la guerra dell’oppio e lì la Cina sarebbe poi dovuta esser divisa, ma purtroppo le grandi potenze non vollero.”

Quindi non crede ad una Cina non aggressiva…
“No, assolutamente. Io vado spesso in Australia e lì i laburisti, che in fondo sono più anti-cinesi dei conservatori, sono convinti che la Cina vorrà prima o poi invadere l’Australia. Come fecero i giapponesi, d’altronde. I miei critici rispondono che contro Taiwan non hanno fatto nulla, ma solo perché non son ancora pronti… è un dato di fatto poi che si stia sempre più sviluppando un pensiero nazionalista. Credo che Il futuro sarà molto interessante.”

 
Intanto in Africa, la strategia d’insediamento cinese pare avere soppiantato quella americana che legava gli scambi economici a questioni legate a diritti umani e democrazia in quei paesi. Magari non credendoci fino in fondo e forse anche con un po’ d’ipocrisia, ma perlomeno dava l’impressione di provarci.
“Beh, se pensiamo che i cinesi esportano addirittura il lavoro forzato dai famosi Laogai… il quadro che ne esce è quella di una potenza coloniale di tipo nuovo che ha all’interno un eccesso di forza lavoro che lo stato sfrutta esportando schiavi per costruire infrastrutture in Africa, per questo parlo di un’economia nazionalsocialista. La Cina non sta che realizzando quello che Hitler voleva fare con gli slavi. La cosa sconvolgente è che di fronte a tutto ciò le classi dirigenti dell’occidente capitalistico e democratico rimangano affascinati.”
 
A proposito di nazionalsocialismo mi rimase impresso in un suo articolo il conio della definizione di “managerialismo” in cui tracciava una sorta di parallelo con la forma mentis nazista.
“E’ l’ideologia delle varie Mckinsey, Bain ecc. che propugnano un pensiero piatto senza prospettiva storica, senza complessità, anti- e a-umanistico. La loro visione è la slide di powerpoint al quadrato e le persone trattate come commodities. C’è quindi un abbassamento del livello culturale generale, di cui il managerialismo è parte, che sta infettando la direzione delle grandi imprese e non solo.”.

Andrea Ferrari
(in esclusiva per Indiscreto)

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